L’effetto, a volte, è straniante: i dati macro sono buoni ma le Borse scendono. Oppure, al contrario: la congiuntura non va, ma i listini salgono. L’economia reale e le piazze finanziarie, insomma, spesso viaggiano su strade diverse lasciando gli investitori indecisi su quale strategia seguire.
Un esempio, in questo senso, arriva dall’Italia. Gli ultimi dati sulla produzione industriale rafforzano le aspettative di ripresa per l’economia tricolore. La produzione industriale è aumentata per il secondo mese consecutivo a dicembre (non accadeva da più di un anno), accelerando a +0,4% (mese su mese) dopo il +0,3% di novembre. La variazione annua è tornata in territorio positivo, a +0,1% da -1,9% precedente. L’aumento è stato trainato dal settore-chiave dei beni strumentali. Insomma, l’industria già nella parte finale del 2014 ha cominciato a beneficiare degli effetti dell’indebolimento del cambio e del calo delle quotazioni delle materie prime.
Piazza Affari, tuttavia, sembra non apprezzare appieno la situazione. È vero che l’indice Msci Italy (usato come benchmark di riferimento da Morningstar per i fondi dedicati alla Penisola), da inizio anno ha guadagnato l’8%. Ma nelle ultime sette sedute (fino al 10 febbraio, quindi nel periodo in cui i dati congiunturali sono stati comunicati) il paniere ha perso più dell’1,6%.
La situazione inversa, in maniera evidente, l’hanno vissuta gli Stati Uniti nel 2013, quando l’azionario ha guadagnato il 140% dai minimi del marzo 2009, mentre l’economia lottava tra una disoccupazione ancora al 7,5% e un Pil (Prodotto interno lordo) cresciuto di appena il 2,5% nel primo trimestre. Una situazione che aveva allarmato molti economisti, secondo cui i prezzi dell’equity erano drogati dall’eccessiva liquidità immessa sul mercato con il Quantitative easing della Federal Reserve.
Seguire il dato giusto
“Quando si parla di mercati in rapporto all’andamento economico bisogna tenere conto di due fattori”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “Il primo è che, in un mondo globalizzato, eventi che accadono anche lontano da noi hanno effetti sulle nostre piazze finanziarie. Lo abbiamo visto con le diverse crisi congiunturali e politiche che a livello globale sono state affrontate in questi anni è che hanno condizionato tutti i listini. Ma è un elemento al quale gli investitori ormai si sono abituati. Il secondo – e più importante fattore – è che spesso gli operatori, per prendere le loro decisioni seguono indicatori che non gli servono”.
L’esempio, anche in questo caso, arriva dagli Stati Uniti, dove analisti, stampa finanziaria e investitori da mesi stanno spendendo tempo e fiumi di parole cercando di indovinare quale sarà la prossima mossa delle Fed, studiando gli effetti dell’andamento del petrolio o cercando di indovinare dove andrà il dollaro. “Tempo ed energie che sarebbero meglio utilizzati, ad esempio, studiando tutti gli elementi che formano i dati relativi ai consumi personali, visto che questa voce, da sola, rappresenta il 70% dell’intera economia Usa”, dice Johnson. “Se lo facessero vedrebbero che, ad esempio, la disoccupazione sta scendendo e i salari stanno crescendo. Ma si accorgerebbero, anche, che siamo in una situazione in cui l’invecchiamento della popolazione limiterà la crescita del mercato del lavoro. Questo, a ruota, terrà i consumi al di sotto del trend di lungo periodo del 3,6%, ma al di sopra del tasso dell’1,9% degli ultimi 10 anni. Si tratta di fattori molto più importanti del prezzo del petrolio. Il valore del barile sale e scende velocemente, mentre i trend demografici ci mettono molto di più e hanno impatti più profondi sia sulle finanze statali che su quelle delle aziende”.
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