Dimmi come investi e ti dirò come difenderti. A seconda del profilo dell’operatore che lavora con i mercati finanziari, infatti, esistono diverse possibilità di coprirsi dal rischio attraverso l’uso di derivati. Si tratta di strumenti che, complici anche le crisi degli ultimi anni, godono di cattiva stampa ma che, se usati correttamente nell’ottica di una strategia cosiddetta di hedging, permettono di prendere posizioni contrarie a quelle assunte in portafoglio, in modo da compensare gli effetti di una potenziale perdita. Il tutto, spesso, con un investimento contenuto. Alcuni prodotti sono riservati agli investitori istituzionali, mentre altri sono accessibili anche ai risparmiatori.
Istruzioni per l’uso
I derivati sono dei contratti che presentano una particolarità: la transazione tra chi compra e chi vende si conclude fisicamente in una data futura, ma a un prezzo predefinito al momento dell’accordo tra le parti. Tali strumenti possono avere per oggetto (chiamato sottostante) attività di diverso genere come semplici titoli azionari, indizi azionari, piuttosto che materie prime o qualsiasi fattore di rischio che possa essere misurato (come ad esempio il tasso di cambio tra due valute o la temperatura atmosferica).
Quattro sono le principali tipologie di prodotti derivati: future (disponibili alla clientela retail attraverso i mini future), forward, opzioni (mini opzioni per i privati) e swap. Da questi, poi, nascono altri strumenti di copertura come, ad esempio, i covered warrant, alcuni Etf e i certificate (disponibili anche ai piccoli investitori). Le prime due tipologie sono molto simili tra di loro. In entrambi i casi le parti si impegnano reciprocamente nella compravendita del sottostante in data futura e ad un prezzo prestabilito. Ma, mentre i future sono contratti standard (in cui la quantità del sottostante è predefinita) scambiati su mercati regolamentati, i contratti forward hanno condizioni interamente stabilite dalle parti e sono negoziati in mercati “over the counter” (nei quali i partecipanti non necessitano di nessuna autorizzazione per accedervi da parte delle autorità di vigilanza). In tempi più recenti hanno fatto il loro debutto sul mercato anche i mini future e le mini option, che hanno dato anche agli investitori retail la possibilità di utilizzare questi strumenti derivati. Questi, infatti, necessitano di un esborso di capitale iniziale molto più basso rispetto a quelli standard e presentano livelli di stop loss che prevengono la possibilità di perdite elevate.
I contratti di opzioni possono essere di due tipi: put o call. Nelle opzioni call l’acquirente sottoscrive un contratto che gli dà la facoltà di acquistare (non un impegno, quindi, ma una possibilità) il sottostante a una data futura e a un prezzo predefinito, mentre in quelle put egli acquista il diritto a poter vendere l’attività ad un corrispettivo stabilito. Nel primo caso (in cui si dice il soggetto assuma una posizione long) l’obiettivo è quello di proteggersi dal rischio che il prezzo del sottostante cresca oltre le previsioni. Nel secondo (definito come posizione short), invece, ci si vuole tutelare dalle potenziali perdite prodotte da un possibile deprezzamento dell’attività.
Gli swap sono contratti che funzionano in maniera diversa rispetto agli altri. Prevedono che le parti contraenti si impegnino ad uno scambio reciproco di pagamenti di denaro per un ammontare e un periodo di tempo determinato in precedenza. Più comunemente hanno come oggetto flussi di denaro in valuta (al fine di proteggersi dal rischio di cambio) o di interessi (con l’obiettivo di tutelarsi dal possibile aumento del costo della moneta). La compravendita di questi contratti non si realizza sui listini regolamentati, ma attraverso un intermediario che assolve la funzione di market maker, cioè che interviene nel contratto come interlocutore diretto delle due parti definendo il prezzo e realizzando materialmente i pagamenti.
Le strategie di hedging
Le strategie di copertura (hedging) attraverso i derivati sono largamente impiegate dagli investitori istituzionali per neutralizzare alcuni componenti di rischio presenti all’interno dei loro portafogli.
Ipotizziamo, ad esempio, di essere esposti sul mercato azionario italiano per un ammontare complessivo pari a 1.000 euro. Se volessimo tutelarci nel caso di un possibile ribasso della Borsa italiana potremmo andare short su un future, cioè entrare nel contratto nella parte del venditore, impegnandoci a vendere quell’indice a un determinato prezzo, ad esempio 2.000 punti base, (in questo caso, trattandosi di un’attività fisicamente non trasferibile, l’accordo prevede un trasferimento in denaro della differenza tra il valore corrente dell’indice, al momento della scadenza del future, e quello definito dal contratto). In questo modo, nel caso in cui l’indice scenda a 1.500 punti base, la perdita sofferta in portafoglio sarà compensata dalla differenza tra il valore del contratto future e il valore corrente dell’indice. Tenendo conto che il valore del future è pari alla quantità dell’attività sottostante (size), ad esempio 10 punti base, moltiplicata per il prezzo prefissato dal future, il trasferimento a nostro favore sarà calcolando moltiplicando questo spread per il numero di contratti future sottoscritti.
Allo stesso modo potremmo acquistare un’opzione put sullo stesso indice azionario. Attraverso il pagamento di un premio potremmo avvalerci della possibilità di vendere quell’indice a un determinato prezzo di esercizio (strike price). Così facendo, nel caso in cui il valore dell’indice in questione fosse inferiore allo strike price dell’opzione (in questo caso si dice che l’opzione è in-the-money), saremmo in grado di compensare le perdite in portafogli attraverso il differenziale tra lo strike price e il valore dell’indice moltiplicato per la dimensione (size) del contratto.
L’effetto leva fa gola agli speculatori
Oltre ad un obiettivo di copertura, questi contratti possono essere utilizzati per un fine speculativo, cioè quello di scommettere sul futuro andamento di una determinata attività. Prendiamo ad esempio l’andamento del greggio. Se guardiamo alle quotazioni del petrolio sulla Borsa americana (Wti), notiamo come dopo il crollo seguito alla crisi finanziaria scatenata dal fallimento di Lehman Brothers, il prezzo dell’oro nero sia salito dai 39 dollari di febbraio 2009 a 106 del giugno scorso, prima di ripiombare recentemente attorno a quota 50 dollari. Se noi fossimo pessimisti sull’andamento della materia prima potremmo andare short sul future con scadenza dicembre 2019 che vede il prezzo del greggio a quota 69,21 dollari al barile. In questo modo, nel caso vincessimo la nostra scommessa, tra poco meno di cinque anni potremmo incassare la differenza tra il prezzo stabilito dal contratto future e il prezzo di mercato (anche in questo caso moltiplicato per la size del contratto, cioè 1.000 barili nel caso di future normali e 500 barili nel caso di mini future).
Questi contratti sono potenzialmente molto redditizi, ma anche molto rischiosi. Per prendere posizione su un future, infatti, è necessario versare un importo (il margine iniziale) molto più basso rispetto al prezzo di mercato del contratto e questo produce un effetto leva sul nostro investimento iniziale. Avremo quindi che un’eventuale variazione dell’1% sul valore del petrolio potrebbe tradursi in un rendimento o una predita del capitale inziale superiore al 10%.
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