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Ricostruire il rendimento

Alcune aziende pensano già agli scenari che si presenteranno quando finiranno le tensioni geopolitiche in corso. Italia e Cina sono in prima linea per sbarcare in Libia.  

Marco Caprotti 24/02/2015 | 15:25
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La guerra, diceva lo scrittore satirico inglese Evelyn Waugh, non è che commercio. Ma anche la ricostruzione post bellica, spiegano i numeri, è un  affare non da poco. E mentre politici e strateghi studiano le evoluzioni della presenza dello Stato islamico in Libia, diverse aziende iniziano a studiare quali opportunità di business potrebbero aprirsi nel paese quando – e se – la zona sarà pacificata. Un elemento, il secondo, che non può essere ignorato dagli investitori di Borsa.

Che affare la ricostruzione
Per capire che tipo di affare sia la ricostruzione può essere utile guadare l’Afghanistan. Per cercare di rimettere in piedi il paese, gli Stati Uniti hanno speso dal 2002 al 2014 circa 100 miliardi di dollari.  Secondo il Sigar (un organo creato dal congresso Usa che cerca di evitare sprechi e frodi fiscali con i dollari dei contribuenti nella ricostruzione dello stato mediorientale) si tratta di un business che conta 1.874 progetti appaltati a privati, che coinvolge 771 aziende ma che, di fatto, è in mano sempre agli stessi nomi. Il 90% dei fondi messi a disposizione dal Dipartimento di stato americano è stato indirizzato al ripristino della pubblica amministrazione e degli apparati di sicurezza afghana. Il 4% è stato utilizzato per la bonifica delle mine. Il 2,6% è servito per attività culturali e il 2% per il sistema scolastico. Diritti umani e assistenza umanitaria insieme hanno impiegato il 2,5% mentre per il rilancio dell’economia locale sono stati destinati 2,2 milioni di dollari. 

Il fronte Libia
L’attenzione degli operatori di mercato in questo momento è rivolta alla Libia, sia per le notizie che arrivano dal fronte dello Stato islamico, sia per le opportunità che si potrebbero aprire una volta che la situazione di sarà normalizzata. Un obiettivo, quest’ultimo, al quale guarda pure l’Italia anche alla luce dei rapporti che la legano al paese africano. Roma è il primo partner commerciale dello stato (anche in virtù della forte presenza dell’Eni) con circa 10,6 miliardi di euro d’interscambio (un dato che, rispetto al 2008, è comunque oggi in calo del 50%). Dopo il caos arrivato con il post-Gheddafi la Penisola è stata la maggiore destinataria delle esportazioni libiche di petrolio e gas. Le rilevazioni del primo semestre 2014 parlavano di un export dell’Italia verso la Libia che ammontava a 1,732 miliardi (-15,4%) e l’import a 3,054 miliardi (-58,6%). L’Italia, peraltro, è da sempre in prima linea quando si parla di ricostruzione in Libia. Nel 2013 una delegazione africana aveva incontrato un gruppo di imprese del Bepaese per un investimento da circa 100 miliardi di dollari. Al cospetto del governo libico si erano recati rappresentanti di Impregilo, Ferrovie, Trevi, Bonatti, Ance, Anas, oltre ad alcune banche, come Unicredit e Intesa San Paolo

Anche la Cina aspetta
Un occhio al paese africano probabilmente lo butteranno anche i cinesi che da anni hanno contratti di progettazione e costruzione di grandi infrastrutture (nel 2008 erano stati avviati progetti per un valore complessivo di oltre 10 miliardi di dollari). Secondo un rapporto dell’Economist Intelligence unit, la presenza più massiccia, almeno prima del precipitare degli eventi, era quella della China Railways Construction e della China StateEngineering Corporation. La seconda azienda, in particolare, dal 2007 ha attivato oltre 20mila progetti di costruzione di aree residenziali per un valore di oltre 2,7 miliardi di dollari, coinvolgendo nei lavori tra le 600mila e le 800mila persone. In terza posizione c’era la ZTE Corp che, nel settore delle telecomunicazioni ha investito dal 1999 oltre 457 milioni di dollari.

La Russia si muove
Anche la Russia, intanto, impegnata in un braccio di ferro con l’Ucraina, inizia a pensare al dopo. Mosca ha annunciato che investirà 63 milioni di euro nella ricostruzione delle infrastrutture sportive nella regione della Crimea. Il programma federale, denominato “Sviluppo della cultura fisica e dello sport nella Federazione Russa nel 2016-2020”, prevede un investimento di 1,1 miliardi di euro complessivo. Oltre 45 miliardi di rubli (621,3 milioni di euro) saranno investiti per strutture sportive dedicate ai grandi eventi e 8 miliardi di rubli per gli sport di massa. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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