La dichiarazione dei redditi si avvicina, ma com’è cambiato il fisco per quegli investitori che percepiscono cedole? La normativa in tema di tassazione delle rendite finanziarie è stata recentemente rivista, ma il quadro resta ancora molto complesso. Nelle righe che seguono cercheremo di schematizzare le varie fattispecie che possono presentarsi davanti a un risparmiatore che investe in strumenti che fruttano un reddito periodico, siano essi titoli azionari, obbligazioni (governative o corporate) o fondi comuni a distribuzione.
Cedole azionarie
Nel caso di stock vanno fatte ulteriori distinzioni: tra quelle emesse da società residenti in Italia e quelle estere e, all’interno di entrambe le categorie, tra quelle che rappresentano partecipazioni qualificate (poi vedremo cosa significa) e quelle che non lo sono.
Le azioni sono “piece of business” (pezzi di società) e danno il diritto a partecipare agli utili prodotti dalla stessa. Nel caso in cui un soggetto detenga un ammontare maggiore del 20% dei titoli societari con diritto di voto in assemblea (azioni ordinarie), o il 25% del totale del capitale sociale di una S.p.a (le soglie sono 2% e 5% rispettivamente nel caso in cui la società sia quotata in Borsa), la sua partecipazione è definita “qualificata”. In questo caso, se l’azienda è residente nel territorio italiano, il reddito prodotto dai dividendi riscossi contribuisce all’imponibile complessivo dell’azionista nella misura del 49,72% del suo ammontare complessivo. Se, ad esempio, l’importo è pari a 1.000 euro, il contribuente dovrà dichiarare nel suo modello unico un importo pari a 497,20 euro.
I detentori di partecipazioni non qualificate, invece, non devono aggiungere niente nella loro dichiarazione dei redditi, poiché al suddetto dividendo è stata applicata una ritenuta a titolo d’imposta pari al 26% (se percepiti dal primo luglio 2014). Quindi, sui suoi 1.000 euro l’azionista pagherà al fisco 260 euro.
Cosa cambia se la società è estera
Se le partecipazioni sono relative a società residenti all’estero la tassazione non cambia per quelle non qualificate, la cui aliquota resta al 26%, mentre per i proventi derivanti da quelle qualificate le cose cambiano un po’. Questo perché il dividendo potrebbe essere soggetto a tassazione da parte dello stato estero o perché lo stesso viene riscosso attraverso l’intervento di un intermediario (banca). L’importo riscosso a titolo di dividendo, al netto della tassa estera e di una ritenuta d’acconto del 26% applicata dalla banca, confluisce nell’imponibile complessivo per il 49,72%, come avveniva prima, ma ora il contribuente potrà recuperare la trattenuta applicata oltre confine e la ritenuta d’acconto dell’intermediario compilando il Modello unico.
Le black list
“Più complica è la fattispecie di dividendi provenienti da paesi inseriti nelle cosiddette black list del fisco (i cosiddetti paradisi fiscali)”, dice Mario Bono, fiscalista dello Studio Associato Piazza. “Se le partecipazioni sono qualificate e vengono incassate direttamente, allora i proventi da dividendo contribuiranno all’imponibile per il 100% del loro ammontare. Nel caso, invece, in cui intervenga un intermediario, questi applicherà (al momento della riscossione) una ritenuta d’acconto del 26%, che verrà utilizzata dal contribuente come credito d’imposta al momento della dichiarazione dei redditi”.
Per le partecipazioni sotto il 25% del capitale ci sono due possibilità: se la società è quotata, allora la ritenuta del 26% applicata dall’intermediario sarà a titolo d’imposta, cioè il contribuente pagherà all’erario il 26% sui 1.000 euro di dividendi e non dovrà aggiungere altro nella sua dichiarazione dei redditi. “Se, invece, non si tratta di una società pubblica, allora sarà necessario ricorrere al Modello unico”, continua il fiscalista. “La cedola contribuirà all’imponibile per il suo ammontare al netto della ritenuta del 26% applicata dall’intermediario, che però ora sarà a titolo d’acconto e quindi potrà essere recuperata dal contribuente come credito d’imposta nella sua dichiarazione dei redditi”.
Bond, Oicr e Trust
La tassazione dei redditi derivanti dall’investimento in titoli di debito è molto più semplice. Le obbligazioni governative emesse dal Tesoro, insieme a quelle offerte dagli enti territoriali (comuni, regioni, province), dagli organismi sovranazionali e da tutti gli Stati appartenenti alla cosiddetta “White list” (quelli che assicurano un adeguato scambio di informazioni di natura fiscale), sono soggetti ad un’aliquota del 12,5%. Tutti gli altri strumenti analoghi, emessi da soggetti diversi dai precedenti (come ad esempio società di capitale) sono tassati al 26%.
Nessuna distinzione, invece, vale per i dividendi maturati dalla sottoscrizione di OICR (fondi comuni di investimento, sicav e ETF), ai quali è applicata l’aliquota del 26%.
La nuova legge modifica anche l’imposta a carico dei Trust, ovvero degli strumenti giuridici ai quali vengono trasferiti strumenti finanziari o beni immobiliare al fine di garantire la tutela e la gestione del patrimonio. Le cedole staccate dagli strumenti detenuti tramite questi soggetti saranno sommate al reddito imponibile complessivo per il 77,74% del loro ammontare, e non per il 5% come avveniva prima dell’intervento normativo.
“Non va dimenticato che la nuova normativa vale solo per i redditi maturati a partire dal primo luglio del 2014”, precisa Bono. “Per quelli precedenti a questa data, si applica la vecchia tassazione. Ecco perché, per evitare una tassazione iniqua, nel portafoglio degli investitori, si realizzerà una doppia operazione. Cioè un addebito dell’imposta calcolata in base alla nuova aliquota per tutto il periodo in cui il reddito è maturato (6/12 mesi) e il contestuale accredito della tassa calcolata con la vecchia aliquota nel periodo compreso dalla data in cui il reddito ha iniziato a maturarsi fino al 1 luglio 2014”.
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