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Etf con cedola cercasi

Cresce la domanda di replicanti che offrono un pagamento periodico. Occhio però a tracking error e svantaggi fiscali. Ecco quelli con lo yield più alto in Italia.  

Valerio Baselli 20/03/2015 | 09:42
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Il fascino della cedola resta immutato tra gli investitori. E gli Etf si adeguano. Su circa 930 replicanti disponibili su Borsa Italiana, ce ne sono ben 316 che staccano cedole (sia azionari che obbligazionari). L’incasso di una somma periodica è sovente visto dagli investitori come un modo semplice e automatico per fare piccole prese di beneficio sull’investimento effettuato. Anche dal punto di vista psicologico ha una sua importanza. Per i fondi quotati a gestione passiva la politica di distribuzione o meno della cedola viene decisa dall’emittente che la indica nel prospetto informativo. I dividendi vengono pagati almeno una volta l’anno, con cadenza che diventa semestrale o anche trimestrale soprattutto per gli Etf obbligazionari. 

L’altra faccia della medaglia
Ma attenzione, se da un lato è piacevole mettersi in tasca una cedola, dall’altro occorre essere consapevoli che questa pratica potrebbe avere un effetto negativo sul tracking error del replicante. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli Etf che pagano i dividendi, non reinvestendo i proventi dei titoli nel fondo stesso, mantengono tali guadagni sotto forma di liquidità fino alla data di stacco prevista. Questa pratica (chiamata cash drag) può potenzialmente creare una differenza negativa tra i rendimenti dell’Etf e del benchmark, durante le fasi di mercato rialzista, visto che i dividendi non vengono reinvestiti nel fondo. Vale però anche il contrario.

Da non sottovalutare poi il diverso trattamento fiscale riservato agli Etf a distribuzione di cedole e quelli a reinvestimento delle stesse. La distribuzione del dividendo comporta infatti una doppia tassazione dell’investimento, una sull’apprezzamento dello strumento e un’altra sulla distribuzione dei dividendi senza avere la possibilità di compensazione tra le due. Tutto questo si ritorce contro l’investitore in una situazione in cui l’Etf è in minusvalenza ma stacca lo stesso delle cedole. Ad esempio, nel caso di vendita di un fondo in perdita, non si può compensare la minusvalenza con i guadagni percepiti sotto forma di dividendi.

L’Etf a reinvestimento permette, al contrario, di accumulare e reimpiegare i dividendi nel tempo con un’unica tassazione fiscale al momento della sua vendita. Quindi consente di posticipare il pagamento dell’imposta fiscale, reinvestendo anche questa specie di “credito d’imposta”. 

Detto questo, l’aspetto fiscale è solo uno degli elementi da prendere in cosiderazione nel momento di acquistare uno strumento finanziario, assieme all’asset allocation, alla liquidità, alle commissioni di gestione e al profilo di rischio. Inoltre, ci possono essere casi in cui si ha effettivo bisogno di incassare una cedola periodica per far fronte a determinare uscite. In questo caso, l’inefficienza fiscale è il prezzo da pagare.

 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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