Il private equity fa bena anche al portafoglio dei piccoli investitori. Nati come strumenti per finanziare la piccola e media impresa e sviluppatisi anche grazie alla crisi finanziaria del 2008, quando le banche hanno tagliato drasticamente l’erogazione di prestiti, questi fondi sono oggi in gran spolvero.
I risultati del 2014
Il rendimento annuo lordo aggregato (Internal rate of return, IRR) prodotto da questi fondi nel 2014 è stato del 20%, con punte superiori al 50% (stando ai numeri prodotti dall’Aifi, Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital). Questo dato fa seguito al +18,2% del 2013 e conferma la bontà dello strumento di investimento, specie alla luce di quanto offerto dal mercato azionario, con l’indice Ftse Mib che lo scorso anno ha guadagnato circa il 3%, e da quello obbligazionario, con i rendimenti dei titoli di Stato che sono prossimi allo zero se non negativi. Ma come funzionano questi fondi e come può fare un retail ad accedere a questa forma di investimento?
Cos'è un fondo di private equity?
I fondi di private equity investono nel capitale di rischio di piccole società non quotate. Il loro impegno è generalmente a termine (dai cinque ai 10 anni) ed è finalizzato a sostenere il processo di sviluppo dell’impresa. Questa forma di investimento ha successo perché è funzionale per entrambe le parti: il fondo punta ad ottenere rendimenti del capitale superiori a quelli di mercato, mentre l’azienda riceve risorse finanziare aggiuntive e, generalmente, anche un sostegno dal punto di vista manageriale e organizzativo.
I fondi di private equity possono entrare nel capitale societario in diversi momenti del ciclo di vita di un’azienda: nella fase di start-up (attraverso operazioni di Venture Capital); in quella di espansione, quando è chiamata a finanziare il processo di allargamento dimensionale o quello di internazionalizzazione del business; nella fase di ristrutturazione, quando rilevano una quota di minoranza o di controllo della società. L’uscita si realizza con la cessione della quota al socio originario (buy back) o a un altro fondo di private equity sul mercato secondario, in seguito alla vendita dell’azienda ad un terzo soggetto imprenditoriale o alla quotazione della stessa in Borsa (Ipo).
I fondi chiusi sono stati per molto tempo un’opzione riservata a una nicchia di paperoni in grado di sostenere una soglia minima di ingresso molto alta e, soprattutto, la scarsa liquidità dello strumento finanziario. Negli anni, però, il mercato si è evoluto. Molti fondi di private equity sono diventati public company quotate in Borsa, diverse società di gestione hanno iniziato a offrire Etf che replicano indici di società di private equity e poi ci sono anche i “feeder fund”.
Le vie di accesso per gli investitori retail
Al momento, sul listino di Borsa Italiana sono quotate circa 10 società italiane di private equity, per la maggior parte tutte appartenenti al segmento small-cap. In questo caso non ci sono soglie minime di ingresso, ma gli investitori dovrebbero fare attenzione alla qualità di queste gestioni. Fatta eccezione, infatti, per Dea Capital e per Tamburi Investment Partners, che negli ultimi 12 mesi hanno registrato una performance rispettivamente del 40,3% e del 28,6%, le altre hanno decisamente deluso le aspettative, registrando in alcuni casi perdite significative.
Per quelli che preferiscono optare per una soluzione che gli permetta una maggior diversificazione dell’investimento - e sono disposti a fare i conti con una minor liquidità dello strumento - c’è la possibilità di scegliere tra i tre ETF disponibili alla vendita in Italia: db x-trackers LPX MM® Private Equity UCITS ETF 1C (LU0322250712), Lyxor UCITS ETF Privex D-EUR (EUR) | PVX (FR0010407197), PowerShares Global Listed Private Equity UCITS ETF (EUR) | PSP (IE00B23D8Z06). I comparti cercano di replicare indici diversi (anche se rappresentativi di panieri di società di private equity), ma tutti hanno realizzato una performance a 12 mesi superiore al 20%.
Chi, invece, crede nella capacità del gestore di creare valore aggiunto, ma non ha sufficienti capitali può utilizzare i cosiddetti feeder fund come mezzo per investire nei fondi di private equity. Si tratta di collettori di risorse, promossi dalle stesse società di investimento, che nascono con l’obiettivo di finanziare in maniera indiretta i fondi (detti “master”) di private equity.
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