La crescita di gran parte dell’Asia passa anche dal basso prezzo del petrolio. Ma non tutti i paesi della regione possono festeggiare per il calo del barile e dell’energy in generale. Secondo uno studio dell’Asian Development Bank (Adb), il Pil asiatico nel 2015 salirà del 6,2%, in ribasso rispetto alla stima precedente che parlava di un +6,4%. Per i 10 paesi dell’area del sud est asiatico (Asean, che peraltro si stanno unendo in una Comunità economica), il dato di crescita è stato limato da +5,3% a +5,1%. “Anche l’andamento del 2014 delle due aree è stato più lento rispetto alle nostre attese”, spiega uno studio di Adb. “Tuttavia, considerando che molti paesi della macroregione sono importatori di materiale energetico, ci potrebbe essere qualche sorpresa al rialzo per quanto riguarda il Pil”.
Dove va il barile?
L’andamento del barile, del resto, rimane uno degli elementi fondamentali da prendere in considerazione quando si parla di crescita (o di decrescita) globale. L’Arabia Saudita a dicembre dell’anno scorso ha detto che non taglierà la produzione per far aumentare i prezzi. La speranza, nemmeno troppo segreta, è quella che i prezzi bassi mettano in difficoltà gli americani e la loro produzione di petrolio di scisto. Resta da vedere se ci riusciranno. “Una delle caratteristiche della produzione americana di scisto è quella di potersi adattare molto velocemente agli andamenti della domanda e alle dinamiche del prezzo”, spiega Allen Good, Senior equity analyst di Morningstar. “La disponibilità dell’oil made in Usa, le modalità di estrazione e i costi di produzione fanno in modo che ce ne sia una grande quantità a poco prezzo. Quindi, se prima i ragionamenti sul segmento energy venivano fatti prendendo come prezzo di riferimento 100 dollari al barile, ora dobbiamo rifare i conti utilizzando come base 75 dollari al barile”.
Chi ci guadagna?
Secondo uno studio di IHS Economics Asia Pacific, ad approfittare di più del calo del petrolio dovrebbe essere la Thailandia a causa della sua dipendenza dal trasporto su strada. Qualche problema potrebbero averlo la Malesia (esportatore di petrolio) e la Birmania (gas). Più complicata la situazione dell’Indonesia, il paese più grande dell’era Asean. Lo stato è ricco di risorse naturali e veniva considerato un buon esportatore di petrolio. Da qualche tempo, però, ha iniziato ad acquistarlo dall’estero. Secondo un report di Capital Economic, con il calo del prezzo del barile, la sua crescita 2015 dovrebbe essere del 5% (in linea con il 2014). Per le Filippine, che possono contare su un forte segmento manifatturiero, in base alle stime di Adb, il Pil, grazie al calo del petrolio, dovrebbe passare dal 5,8% dell’anno scorso al 6%-6,2% alla fine del 2015. Il Vietnam, intanto, si sta dando da fare per coprire le perdite derivanti dai minori costi del petrolio (di cui è un esportatore). Secondo Capital Economic, l’economia del paese è concentrata maggiormente sulla vendita all’estero di materiale elettronico. Per questo il suo Pil dovrebbe comunque essere in grado di passare dal 5,8% del 2014 al 6% quest’anno.
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