La Federal Reserve cerca di giocare d’anticipo. La Bce - soprattutto da quando alla guida c’è Mario Draghi – prova ad imitarla. La Banca popolare cinese preferisce la sorpresa. La Bank of Japan ci va giù pesante. Gli istituti di politica monetaria, insomma, hanno stili diversi nel comunicare le loro decisioni al mondo degli investitori e a quello della politica. L'evoluzione di queste istituzioni nel corso degli anni e le sfide poste dalla crisi economica hanno notevolmente accentuato l'importanza della comunicazione che deve fornire obiettivi, strategie e decisioni ad un pubblico vasto e diversificato.
Fino alla seconda metà degli anni Ottanta, si pensava che le decisioni di politica monetaria, per essere efficaci, non dovessero essere comunicate in anticipo. A complicare la vita degli investitori contribuiva anche un linguaggio opaco e involuto. Oggi, quel modo di pensare è superato: la franchezza e la chiarezza nella comunicazione sono considerate un obbligo anche per le Banche centrali. Il cambiamento è stato radicale. L’evento chiave è stata l’evoluzione verso una chiara definizione dei fini della politica monetaria, che ebbe inizio negli anni Settanta allorché un certo numero di banche centrali adottò espliciti obiettivi monetari. Si fece strada l’idea che una buona comunicazione fosse necessaria per contenere le pressioni inflazionistiche. “Le azioni delle Banche centrali non sono più racchiuse nel silenzio. E forse non lo saranno mai più”, disse una volta Paolo Baffi, uno dei più famosi governatori della Banda d’Italia “Mentre nel passato il silenzio era considerato una garanzia di indipendenza, oggi quest’ultima si consegue rendendo esplicito conto del proprio operato”.
Cosa dicono?
Le autorità monetarie producono e divulgano una gran quantità di informazioni. La Bce pubblica le proiezioni preparate dallo staff dell’Eurosistema o dal suo stesso staff quattro volte l’anno. La Federal Reserve fa circolare le previsioni macroeconomiche del Federal open market committee ormai da 30 anni. Le informazioni sono anche diventate più tempestive. Le banche centrali ora informano il pubblico non appena una decisione viene presa, in conferenze stampa oppure diffondendo i verbali delle riunioni. La Bce pubblica le motivazioni delle decisioni del Consiglio direttivo il giorno stesso della riunione sulla politica monetaria; in un’apposita conferenza stampa il Presidente fornisce poi ulteriori chiarimenti. Non è sempre stato così. Fino al 1994 la Fed non divulgava le decisioni sul tasso d’interesse. Gli investitori dovevano dedurle dalle operazioni di mercato aperto. Nei propri resoconti, la maggior parte delle banche centrali predispone dei commenti sulle prospettive della politica futura, con diverse modalità. La Bce, quando lo ritiene appropriato, dà dei segnali attraverso i propri canali di comunicazione. Altre banche centrali si sono spinte più in là, accompagnando le proprie proiezioni macroeconomiche con un’esplicita previsione dell’andamento futuro dei tassi di interesse ufficiali .
A determinare le modalità di comunicazione sono anche fattori ambientali. Nell’area dell’euro, la necessità di una chiara comunicazione è forte a causa delle diverse lingue e culture della regione. Un problema che, ad esempio, non hanno la Fed o la BoJ.
La trasparenza fa bene?
Ma tutta questa trasparenza degli istituti centrali fa bene ai mercati? La questione è dibattuta. Per quanto concerne la prassi di pubblicare gli andamenti previsti dei tassi d’interesse, ad esempio, alcuni studi citano il rischio che il settore privato dia troppo peso alle informazioni della Banca centrale, non investendo abbastanza, di conseguenza, in proprie analisi indipendenti. Una ricerca effettuata dalla Banca d’Italia mostra che quando le banche centrali pubblicano le loro previsioni per l’andamento futuro dei tassi d’interesse, i partecipanti al mercato comprendono bene le informazioni ivi contenute. Ma non funziona sempre così. Le banche centrali indipendenti, ad esempio, sono nella posizione ideale per valutare i rischi sistemici che emergono dai mercati finanziari e comunicarli in modo credibile al pubblico. Tuttavia, sembra che i mercati non abbiano prestato sufficiente attenzione ai loro avvertimenti, quando preannunciavano le crisi.
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