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I dubbi della Fed

Il rialzo dei tassi Usa potrebbe arrivare fra pochi giorni o a settembre. E mentre l’Fmi chiede più tempo alla Banca centrale, gli investitori preferiscono trattare l’equity americano con cautela.

Marco Caprotti 11/06/2015 | 10:07
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Il primo conto alla rovescia per gli Stati Uniti sta per scadere. Settima prossima, dopo la riunione mensile del Fomc (il braccio operativo della Federal Reserve), si scoprirà quale sarà la probabile tempistica del rialzo dei tassi di interesse Usa. Se il meeting di maggio si dovesse risolvere con un nulla di fatto, l’attenzione si sposterebbe a settembre.

Nel frattempo la situazione di incertezza si è fatta sentire a Wall Street, dove l’indice Russell dedicato ai titoli Usa nell’ultimo mese (fino al 9 giugno e calcolato in euro) ha perso l’1,6%. Gli investitori, intanto, continuano a studiare il report sul mercato del lavoro relativo a maggio, visto che l’occupazione resta il vero termometro dello stato di salute anche della prima economia del mondo.

Buone o cattive notizie?
L’ultimo rapporto dice che gli Usa hanno generato 280mila nuovi posti di lavoro a maggio.  E’ l'incremento maggiore dalla fine del 2014.  Le attese degli analisti erano per 210mila nuovi posti di lavoro. Dei 280mila nuovi posti di lavoro creati in maggio, 262mila sono nati dall'economia privata e 18mila dal settore pubblico. “Questi dati, insieme ad altre buone notizie congiunturali, hanno riacceso i timori di quanti si attendono un rimbalzo dell’economia talmente forte da spingere la Fed a rialzare i tassi di interesse”, spiega un report firmato da Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “In una situazione del genere, anche le buone notizie vengono interpretate come cattivi segnali”.

Cosa guarda la Fed
Il punto è capire se questi numeri sono sufficienti per convincere la Fed a muoversi sul costo del denaro. “Siamo arrivati in un momento in cui la Banca centrale potrebbe sentirsi un po’ forzata”, dice Johnson. “Una parte della decisione, però, dipenderà dall’andamento dell’inflazione”. Gli ultimi dati parlano di una crescita dell’1,8%. Un livello al di sotto del tetto del 2% posto come soglia dall’istituto centrale, ma non troppo distante da esso per essere sicuri che la Banca non interverrà. “La Fed dovrà bilanciare l’esigenza di tenere l’economia in salute e quella di controllare il costo della vita”, dice l’economista di Morningstar. “In una situazione del genere è possibile che la Fed approfitti del meeting di giugno per far capire che qualcosa accadrà a settembre”.

L’Fmi chiede tempo
Certo, si potrebbe andare anche più in là. Gli investitori hanno accolto con un certo sollievo le ultime stime del Fondo monetario internazionale che ha rivisto al ribasso le stime del Pil Usa. Adesso per il 2015 si prevede un +2,5% che dovrebbe diventare +3% nel 2016. Le previsioni precedenti indicavano un +3,1% per entrambi gli anni. Secondo il Fmi, si tratta di un rallentamento temporaneo e non di un freno duraturo alla crescita. In questo contesto il Fomc, il comitato di politica monetaria della Federal Reserve, “dovrebbe continuare a fare dipendere le proprie scelte dai dati macroeconomici”, spiega il documento del Fondo che accompagna le previsioni. Inoltre “dovrebbe rimandare il primo aumento dei tassi di interesse finché non ci saranno maggiori segnali su salari e inflazione di quelli attualmente evidenti. Basandosi sulle previsioni macroeconomiche, ed escludendo sorprese al rialzo di crescita e inflazione, questo significherebbe rinviare il giro di vite alla prima metà del 2016”.  

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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