Al 31 dicembre 2014 le forme pensionistiche complementari sono 496: 38 fondi negoziali, 56 fondi aperti, 78 piani individuali pensionistici (Pip), 323 fondi preesistenti. Gli aderenti alle forme pensionistiche complementari sono 6,5 milioni, il 5,4% in più rispetto alla fine del 2013. I fondi negoziali hanno 1,9 milioni di aderenti, gli aperti oltre un milione, i fondi preesistenti 650 mila. Continua poi la crescita dei Pip, che hanno superato i 2,4 milioni di aderenti. Considerando gli iscritti al netto di coloro che hanno interrotto i versamenti contributivi, il tasso di adesione rispetto agli occupati è del 22,3%, in pratica un lavoratore su cinque. Ecco quanto emerge, fra l’altro, dalla consueta relazione annuale pubblicata dalla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione.
A livello di patrimonio, alla fine del 2014, gli asset delle forme pensionistiche complementari hanno raggiunto 131 miliardi di euro, circa il 12% in più rispetto alla fine del 2013. Esso rappresenta l’8,1% del Pil italiano e il 3,3% delle attività finanziarie delle famiglie. Inoltre, l’anno scorso le forme pensionistiche hanno riportato rendimenti positivi, beneficiando del buon andamento dei mercati finanziari, sostenuti dalle politiche monetarie espansive e dalle migliorate condizioni dell’economia globale (clicca qui per approfondire).
Serve un cambio di passo
Il settore previdenziale italiano è da sempre un cantiere aperto. Ma una cosa è chiara: l’Inps non potrà più in futuro assicurare da solo una pensione adeguata a tutti. Perciò la previdenza integrativa dovrà per forze di cose assicurare un sostegno. Per questo, ovviamente, servono le condizioni giuste.
“I fondi pensione e gli enti di previdenza privati devono essere all’altezza della crescente rilevanza sociale che la loro attività sta assumendo. Il welfare integrativo rappresenta una fondamentale leva di governo per lo sviluppo di un più evoluto sistema di garanzie sociali e può offrire una risposta ai mutati bisogni della nostra società”, dichiara Francesco Massicci, presidente Covip,in una nota a margine della relazione. “Il momento attuale richiede un deciso salto di paradigma da parte dei fondi: nei processi organizzativi interni, nella capacità di gestire i rischi e di fronteggiare la concorrenza, nell’orientare le politiche di investimento verso un’allocazione più adeguata all’evoluzione del mercato, nella ricerca di dimensioni adeguate, che siano funzionali agli interessi degli iscritti”.
“Il processo di riforma del sistema pensionistico richiede pertanto lo sviluppo di una previdenza complementare destinata da un lato ad integrare in modo significativo le prestazioni offerte dal sistema obbligatorio, dall’altro a offrire una risposta adeguata all’esigenza di una maggiore flessibilità nell’uscita dal mondo del lavoro”, si legge poi nella relazione Covip. “Si potrebbe pertanto valutare un’evoluzione della funzione della previdenza privata in Italia, a vent’anni dalla sua introduzione, prevedendo, ad esempio, misure che consentano di fruire in anticipo delle prestazioni pensionistiche per chi dovesse perdere il lavoro in età avanzata ma non ancora sufficiente per la pensione di base”.
Sotto tale profilo, il recente disegno di legge sulla concorrenza, attualmente all’esame del Parlamento, prevede alcune disposizioni che puntano a innalzare la pressione competitiva sulle forme complementari, anche se le proposte non piacciono a tutti (clicca qui per leggere).
Flessibilià ok, ma senza alzare il debito
Altra discussione calda è quella sull’ipotesi di reintrodurre un meccanismo di flessibilità in uscita per le pensioni (anticipo a 62 anni invece di 66, ma con penalizzazione del 2% in meno ogni anno di anticipo), il che però potrebbe costare alle casse dello Stato fino a a 8,5 miliardi di euro nel picco massimo, nel caso cioè in cui fosse scelto dall’intera platea di italiani con i requisiti. La stima arriva dal presidente dell'Inps, Tito Boeri.
Sul tema, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervenuto alla presentazione della relazione annuale Covip, ha dichiarato ai giornalisti che il governo ha intenzione di riaprire una discussione sulla flessibilità, ma che non si vuole creare altro debito, scaricando ulteriori pesi sulle future generazioni. In sostanza, bisogna capire se sarà possibile trovare il punto di equilibrio tra l’interesse dei cittadini a uscire dal lavoro e l’onere per la collettività. Insomma, il cantiere rimane aperto.
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