Emerging, Uk e Italia sono fra le pecore nere degli Etf. Almeno quando si tratta di fare meglio, in termini di performance, dei fondi attivi. E’ quanto emerge da un’analisi dei replicanti con Morningstar Rating appartenenti a diverse categorie “core” da cui risulta che i prodotti affidati alle scelte di un manager non vincono quasi mai contro gli strumenti passivi, tranne che in alcune occasioni.
L’analisi
Ma a cosa è dovuta la forza degli Etf, rispetto ai fondi attivi? E come mai in alcuni casi sono più deboli? Per rispondere a queste due domande si può partire dal rating quantitativo di Morningstar (le stelle, vedi in basso una breve spiegazione della metodologia). Abbiamo calcolato innanzitutto la distribuzione dei giudizi per tutti gli Etf europei (tre quarti dei quali sono azionari). Per evitare distorsioni, ci siamo concentrati soltanto sugli Etf negoziati su una Borsa del Vecchio continente e sulle “primary shares”.
L’insieme comprende poco meno di 900 Etf, per circa 500 miliardi di euro di masse in gestione. Non tutti gli Etf ricevono infatti Morningstar Rating, o perchè non hanno compiuto tre anni di vita, o perchè appartengono a categorie che non ricevono stelle (come “Materie Prime” o “Trading - Azionario Leveraged/Inverse”). Praticamente la metà degli Exchange traded funds analizzati riceve almeno quattro stelle di Morningstar Rating, superando dunque almeno i due terzi dei propri concorrenti attivi. In questo universo contiamo però anche diversi Etf che replicano un determinato segmento di mercato, come ad esempio gli Obbligazionari Governativi che investono in uno specifico tratto della curva o in un singolo paese.
Per vedere come si sono comportati gli Etf che replicano gli indici più convenzionali dobbiamo quindi guardare all’interno di ciascuna categoria, eliminando tutti quei prodotti che mantengono un “bias” specifico (e il cui confronto con i fondi attivi sarebbe poco significativo).
L’evidenza in alcune categorie
In determinati casi la numerosità degli Etf con un track record sufficientemente lungo è ancora bassa. Nella categoria Obbligazionari Diversificati EUR, per esempio, soltanto due Etf ricevono rating. Entrambi hanno quattro stelle, ma solo uno dei due (iShares Euro Aggregate Bond) ha almeno cinque anni di storia. Eppure, in tale periodo questo Etf ha battuto quasi il 90% dei fondi attivi in termini di Morningstar Risk-Adjusted Return (MRAR). Discorso simile per la categoria Obbligazionari Paesi Emergenti Valuta Locale. Malgrado il track record di questi prodotti non superi nel migliore di casi i quattro anni di storia, tutti e tre gli Etf presi in esame hanno almeno quattro stelle di rating; il peggiore si colloca al 27esimo percentile in termini di MRAR, mentre il migliore batte oltre il 90% dei concorrenti.
Altre due categorie molto amate dagli investitori mostrano invece una concorrenza maggiore (un fatto positivo per gli investitori, dal momento che la concorrenza per gli Etf si gioca molto sui costi). Nella categoria Obbligazionari Governativi EUR contiamo otto Etf che replicano benchmark “mainstream”: tutti con quattro stelle.
Nella categoria Obbligazionari Corporate EUR, anch’essa più numerosa (abbiamo contato nove Etf che seguono diversi indici, dal Markit iBoxx EUR Liquid Corporates al Barclays Euro Agg Corps TR EUR), le cose vanno un po’ meno bene: nei tre anni fino a fine maggio 2015 il posizionamento percentile medio in termini di MRAR è il 53esimo. Il più vecchio tra questi, l‘iShares Euro Corporate Bond Large Cap, realizza comunque buone performance corrette per il rischio a dieci anni (miglior quartile).
Guardiamo invece i risultati in tre categorie azionarie “core”: Azionari Internazionali Large Cap Blend, USA Large Cap Blend ed Europa Large Cap Blend. Anche qui la maggior parte dei prodotti avrà soltanto il Morningstar Rating a tre anni, ma i risultati sono in media positivi anche su orizzonti temporali più lunghi. In questi mercati la vita per i gestori di fondi attivi è stata dura. Una volta dedotti i costi, infatti, in pochi riescono a far meglio di un Etf: tra gli Azionari Internazionali, ad esempio, i prodotti che replicano l’MSCI World hanno fatto meglio di oltre il 90% dei fondi negli ultimi cinque anni. In altre parole, le probabilità di successo per un investitore sarebbero state decisamente più alte qualora si fosse preferito un prodotto passivo ad uno attivo.
Dove si rompe il giocattolo
In altre categorie, però, il meccanismo si inceppa. Tra gli Azionari Mercati Emergenti, ad esempio, contiamo 18 Etf. Nei cinque anni fino a fine maggio 2015 le performance corrette per il rischio sono mediamente in linea con i fondi attivi (44esimo percentile). Va peggio tra gli Azionari UK Large Cap Blend: qui, praticamente tutti i 18 Etf sottoperformano i fondi attivi, collocandosi in media al 68esimo percentile sia su tre che su cinque anni (sempre fino a fine maggio 2015 e in termini di MRAR). Stesso destino per i sette Etf sulle azioni italiane: qui il posizionamento medio a cinque anni è inferiore a quasi il 90% dei fondi attivi. Sia per l’Italia che per il Regno Unito la spiegazione è probabilmente relativa all’indice replicato e alla composizione del mercato. Per esempio, i gestori azionari Italia sovrappesano in maniera strutturale le azioni a capitalizzazione medio-bassa, che negli ultimi anni hanno prodotto performance relativamente migliori. Comunque, anche in altri mercati di nicchia (come gli Azionari India, in totale quattro Etf tutti con due stelle) si possono osservare dati simili.
Conclusione
I costi sono un elemento fondamentale per gli investitori: questo fattore resta uno dei principali vantaggi competitivi degli Etf nel confronto con i fondi attivi. Tuttavia, sembra che ci siano ancora determinate aree del mercato dove, per una ragione o per un’altra, la maggior parte dei gestori riesce a battere le alternative disponibili tra gli indicizzati.
In diversi settori chiave che costituiscono una fetta importante del patrimonio degli investitori europei, invece, si vede la difficoltà dei gestori attivi a competere contro prodotti efficienti e a basso costo. Questo, almeno, è quello che è successo fino ad oggi. Va ricordato, infatti, che le performance passate non sono garanzia di quelle future e che è importante analizzare il comportamento di un fondo/Etf in diverse condizioni di mercato. Ciò è tanto più vero dal momento che la maggior parte degli Etf presi in esame non ha una storia più lunga di tre anni, un periodo tra l’altro caratterizzato da una forte e generalizzata crescita dei mercati.
Infine, se la maggior parte dei gestori attivi non riesce a battere il benchmark, ci saranno sicuramente manager in grado di farlo. Un sistema per identificarli è quello di integrare fattori qualitativi nell’analisi. In pratica, quello che cerchiamo di fare attraverso i cinque pilastri alla base del Morningstar Analyst Rating (persone, processo, performance, società e costi).
Metodologia
Il rating quantitativo segue per gli Etf la stessa metodologia dei fondi d’investimento aperti. Questa è basata sui rendimenti corretti per il rischio e per i costi su un orizzonte temporale minimo di tre anni (il rating complessivo è invece una media ponderata dei rating a tre, cinque e dieci anni). Più precisamente, gli Etf sono valutati rispetto ai fondi appartenenti alla stessa Categoria Morningstar (e per calcolarne il total return viene usato il net asset value). Il numero di stelle è assegnato in base a una precisa distribuzione: solo il 10% dei fondi in ciascuna categoria riceve cinque stelle di rating. Morningstar registra i punti di rottura tra ciascuna classe di rating (es. tutti i fondi con un Morningstar Risk-Adjusted Return al di sopra di una certa soglia ricevono cinque stelle). Calcolando l’MRAR di un Etf e confrontando questo valore con le soglie relative a ciascun livello di rating (cioè numero di stelle), siamo in grado di assegnare il rating anche agli Etf. Quindi, un Etf con cinque stelle avrà battuto, nell’orizzonte temporale valutato, almeno il 90% dei fondi attivi.
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