Chi ha paura della Grecia

Il default del paese non sarebbe un problema per i bondholder. Ma, a seconda dell’esito del referendum di domenica sulle richieste dei creditori, aprirebbe scenari difficili da gestire dal punto di vista politico. Gli investitori, intanto, si possono muovere. 

Marco Caprotti 02/07/2015 | 00:04
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Gli investitori in fondi obbligazionari, almeno per ora, possono mettere via gli ansiolitici: un eventuale fallimento della Grecia non avrebbe effetti rilevanti sui loro portafogli. Da un’analisi di Morningstar, infatti, emerge che nei fondi specializzati nel reddito fisso venduti in Europa ci sono, in totale 712 milioni di carta ellenica. Briciole, se si considera che il debito greco ammonta a più di 310 miliardi, la maggior parte dei quali sono nelle casse di istituzioni come il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea, la Banca europea degli investimenti e l’European Financial Stability Mechanism (l’organismo creato per andare in soccorso dei paesi in crisi).

Tre vie per la Grecia
Tutto a posto, quindi? Tutt’altro. Sul futuro di Atene e dell’intera Unione europea pende la spada di Damocle del referendum che domenica si terrà in Grecia per decidere se dire “sì” o “no” alle richieste dei creditori. In realtà la questione è un po’ più complessa di come la stanno ponendo i politici europei e la stampa. Prima di tutto perché gli azionisti dell'European Financial Stability Facility (i ministri finanziari dell’Unione europea), che ha sborsato 142 miliardi di euro alla Grecia, secondo alcune indiscrezioni, decideranno di prendere tempo prima di certificare la posizione di fallimento. Probabilmente se ne riparlerà lunedì, quando si conosceranno i risultati del referendum.

I creditori, peraltro, all’annuncio del referendum hanno tolto dal tavolo delle trattative il fascicolo con le loro richieste (nel quale, secondo diversi osservatori, non ci sono piani di riforme strutturali ma solo tagli e privatizzazioni), rendendo di fatto inutile anche una vittoria dei “sì”. I politici europei, da parte loro, stanno cercando di convincere i cittadini greci ad accettare le proposte. Il parlamento ellenico, intanto, è diviso. Secondo la coalizione di governo guidata dal partito Syriza del premier Alexis Tsipras (che ha indetto il referendum) la vittoria dei “no” sarebbe un chiaro segnale ai creditori che è finito il tempo dell’austerità e che è arrivato il momento di cercare un nuovo accordo. Le opposizioni sottolineano come un esito del genere aprirebbe la strada alla Grexit (l’uscita del paese dall’euro). “Ci sono tre possibili scenari a cui si può arrivare dopo il referendum”, spiega uno studio firmato da Danae Kryakopoulou, senior economist del Centre for Economics and Business Research (Cebr). “Primo: i greci votano no e i creditori presentano un piano per la crescita economica del paese. Questo aumenterebbe le possibilità per Atene di restare nella zona euro dando al paese la possibilità di rimettersi in piedi. Secondo: la Grecia vota “sì” e si attuano le riforme volute dai creditori. Terzo: vincono i “no” e i creditori si impuntano. In questo caso si arriverebbe a una Grexit che danneggerebbe il paese nel breve termine e farebbe male soprattutto alle fasce più deboli della popolazione”.

Tutti dietro ad Atene?
Anche l’opzione numero uno aprirebbe scenari difficili da gestire. A quel punto, ad esempio, Italia, Spagna e Irlanda, che hanno dovuto subire i severi diktat dell’Europa sull’austerità, potrebbero chiedere di avere maggiore liberta di movimento per quanto riguarda le politiche economiche. Una possibilità che fa alzare il sopracciglio alle grandi banche d’affari. “Si arriverebbe a parlare seriamente del crollo dell’intero progetto europeo”, ha spiegato a Emma Wall, giornalista di Morningstar, David Stubbs, global market strategist di JP Morgan. Il tutto in un momento in cui alcune zone del Vecchio continente stanno tornando interessanti dal punto di vista degli investimenti. “C’è molto ottimismo sull’economia dell’Eurozona in generale e io penso che sia giustificato”, ha detto Stubb. “Abbiamo una ripresa della fiducia dei consumatori e delle imprese, un aumento dei prestiti, l’euro debole e i prezzi del petrolio in discesa. Gli investitori si devono concentrare sul fatto che la Grecia è solo una piccola parte dell’economia dell’Eurozona. Non è più nemmeno considerato uno stato sviluppato”.

Le scelte operative
In uno scenario del genere, come conviene muoversi dal punto di vista operativo? “Il miglioramento macro della regione, su cui poi si è innestato il programma di allentamento monetario della Bce ha fatto correre molto il mercato azionario”, spiega Simon Molica, portfolio manager di Morningstar Investment Management. “Negli ultimi giorni ci sono state delle retromarce dovute alla situazione greca. Ma, per noi che siamo fan dell’investimento di lungo periodo, questo si trasforma in opportunità di acquisto. Tanto che stiamo consigliando di sovrappesare la regione nei portafogli. Uno dei segmenti più interessanti, soprattutto nel lungo periodo, è quello dell’healthcare”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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