Circa 6.400 miliardi di dollari di valore, un rendimento di 300 basis point superiore al Bund e 100 bp in più del Treasury. Sono alcuni dei numeri del mercato obbligazionario cinese, il quarto al mondo (secondo Morgan Stanley), ma anche uno dei meno diffusi nei portafogli a livello globale. La colpa di questo disinteresse, va detto, non è degli operatori. Da quando la Cina nel 1998-2000 ha lanciato le prime obbligazioni, le emissioni sono state riservate quasi esclusivamente a operatori locali.
Ma la situazione sta cambiando. Il governatore della Banca popolare cinese a marzo, nel corso dell’ultimo Forum sullo sviluppo della Cina e poi il mese seguente, durante la riunione del Fondo monetario internazionale, ha annunciato una serie di iniziative per aprire ancora di più il mercato dei capitali (incluso quello obbligazionario) agli investitori retail locali e stranieri. Gli strumenti sono il Qualified Foreign Institutional Investor Program, il Qualified Domestic Institutional investor Program e il collegamento fra la Borsa di Hong Kong e quella di Shenzen. Tutti programmi che nei mesi scorsi hanno accelerato la diffusione dell’equity Made in China anche agli operatori e attraverso i quali ora è possibile acquistare debito.
Occhio al rating
Bisogna quindi correre ad acquistare carta del Dragone? La prudenza è d’obbligo, soprattutto perché è difficile stabilire la solidità degli emittenti. Per quello governativo S&P ha un giudizio di AA-, un gradino superiore a quello (medio) per le emissioni raccolte nell’indice HSBC Asia Local bond e quattro notch più alto rispetto a quelle del paniere JP Morgan GBI – EM GD. Il giudizio alto è anche il riflesso delle poche emissioni governative fatte dalla Cina che ha un rapporto debito/Pil fra i più bassi al mondo (40% contro il 130% dell’Italia). Le cose si complicano nel segmento corporate. In Cina ci sono 10 agenzie autorizzate a emettere valutazioni sul merito di credito degli emittenti. Il mercato è però dominato da tre società (China Chenxin Internacional Credit Rating, China Lianhe Credit Rating e Dagong International Credit Rating). Solo un quinto della carta aziendale ha un rating e metà di questa ha un giudizio di AAA. Gli operatori internazionali, peraltro, non ritengono gli standard di giudizio cinesi affidabili come quelli occidentali (se mai lo sono stati. E le crisi dei mutui in Usa e del debito in Europa qualche dubbio lo fanno sorgere).
I giudizi più alti
Gli emittenti che al momento hanno un giudizio di AAA+ (secondo gli standard cinesi) sono: Ministero delle Ferrovie, PetroChina, Cnooc, Sinopec, China Telecom, China Unicom, China Mobile, State Grid, China Souther Power Grid e China Shenhiua. Secondo le agenzie di rating, giudizi così alti si giustificano con il fatto che dal 1998 non ci sono stati default. Almeno ufficialmente. Nel 2014, quando il mercato del paese asiatico è diventato un po’ più trasparente, c’è stata la notizia del mancato pagamento di un coupon da parte di Chaori Solar. Una situazione che ha interessato molte società emittenti fino alla primavera di quest’anno. Altre notizie di default parziale o totale arriveranno in futuro se, come sostengono dall’agenzia americana di rating Fitch (che possiede il 49% di China Lihane), il governo, come ha promesso, smetterà di intervenire per evitare i default, soprattutto in segmenti che non ritiene strategici.
“Alcune ricerche hanno dimostrato che sul mercato cinese bisogna fare una netta distinzione fra le aziende in grado di generare profitti e che non sono molto indebitate e quelle che hanno fatto un largo uso della leva e che creano pochi utili”, spiega uno studio di Neuberger Berman. “Del primo gruppo fanno parte principalmente le banche, le aziende dell’energy, le Tlc, l’hi-tech e i beni di consumo. Il secondo è formato da industriali, materiali di base, utility e alcune società del real estate. L’internazionalizzazione del mercato cinese del debito dovrebbe aiutare le aziende con una leva maggiore sia introducendo più disciplina, sia diversificando le fonti di finanziamento”.
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