I mercati obbligazionari emergenti hanno vissuto una prima parte del 2015 burrascosa. L’indice JPM EMBI Global, preso a riferimento per l’area, ha guadagnato un magro 1,76% (in dollari) e i fondi della categoria in valuta forte appena lo 0,20% (al 30 giugno).
Tensioni geopolitiche, in particolare in Russia, volatilità del prezzo del petrolio, speculazioni sul rialzo dei tassi americani, rallentamento della crescita cinese hanno alimentato la volatilità e indebolito le valute locali. L’indice di sentiment MIISI, calcolato da Morningstar ogni mese sulla base di un sondaggio tra le principali società di gestione, indica uno scenario di neutralità per la seconda parte dell’anno. L’invito è alla cautela, ma cosa questa significhi non trova d’accordo i money manager.
Rischi e opportunità
“Riteniamo che l'approccio prudente sia quello di essere selettivi nei mercati emergenti, anziché respingere le opportunità che si presentano in termini di qualità e rendimento del credito, in particolare in un contesto di mercato globale di rendimenti bassi o negativi”, si legge in una nota di Goldman Sachs AM.
Prendiamo ad esempio l’apprezzamento del dollaro americano. La reazione delle valute locali non è stata omogenea, al contrario, alcune hanno sofferto più di altre, come la lira turca o il real brasiliano. Ci sono state, tuttavia, divise che non hanno risentito della forza del biglietto verde, come il rublo russo o il dollaro di Taiwan.
Anche il trend dei prezzi petroliferi, che ha pesato sull’andamento del mercato obbligazionario, può essere letto in due modi. “Mentre si è molto parlato dell’impatto dannoso del calo delle quotazioni del greggio su Brasile e Malaysia, i paesi e le regioni che invece ne beneficiano (come l'India e i Caraibi), non hanno visto un miglioramento proporzionale nelle valutazioni”, si legge nella nota di GSAM. “Questa asimmetria crea mancanza di omogeneità e, come sempre, opportunità”.
Troppo debito
Maarten-Jan Bakkum, senior strategist di NN Investment Partners, mette l’accento sulla vulnerabilità dei paesi emergenti, a causa dell’aumento dell’indebitamento, che è passato dal 99% del Pil (Prodotto interno lordo) del 2008 al 125% attuale. “Questo incremento è notevole confrontando i dati su base storica, soprattutto considerando che si tratta di una media”, dice. “Alcuni paesi, come India, Taiwan e Messico, hanno registrato una crescita del credito modesta. In altri non è stato così e sono alle prese con gravi squilibri che potrebbero danneggiare il settore bancario negli anni a venire. Su tutti, spiccano cinque paesi: Thailandia, Malaysia, Brasile, Turchia e Cina”.
Ciascuno di questi paesi è un caso a sé. La Cina si è indebitata per investimenti in infrastrutture da parte delle autorità politiche e per altre attività del settore semi-pubblico. In Brasile, il credito è cresciuto per la realizzazione delle grandi opere, ma ha anche sostenuto i consumi. Negli altri tre stati, la fetta più grossa è stata quella dei prestiti per le spese delle famiglie.
Fuga di capitali
Il debito è cresciuto grazie agli afflussi di capitali esteri, favoriti dai bassi tassi di interesse. Negli ultimi quattro trimestri, tuttavia, gli investitori hanno ritirato 700 miliardi di dollari dagli emergenti a causa dei timori per il rialzo dei tassi americani e il rallentamento cinese. “Fino a quando questa situazione persisterà, la forte crescita del credito degli ultimi anni semplicemente non potrà continuare a sussistere”, dice Bakkum. “In Thailandia, la correzione è già iniziata. Negli altri paesi il problema è per ora ignorato o sottovalutato, ma in questo modo i rischi aumenteranno ulteriormente”.
Lo strategist ritiene che la Turchia sia l’area più vulnerabile. “La crescita del credito di questo paese rimane al 20%, con un disavanzo delle partite correnti pari al 6% del Pil”, afferma. “L’aspetto peggiore è che il settore bancario turco è finanziato principalmente da capitale straniero. Data la recente fuga di capitali dai paesi emergenti e la grande incertezza politica in Turchia, raccogliere risorse potrebbe rivelarsi molto più difficile per le banche turche. Una forte correzione sembra quindi inevitabile”.
A caccia di rendimento
Per chi guarda al “bicchiere mezzo pieno”, le forze che interessano i mercati emergenti possono rivelarsi una “manna”. Come si legge nelle conclusioni del report di GSAM, “La Fed ha evidenziato che la recente forza del dollaro statunitense e il relativo impatto sull'inflazione e la crescita siano fattori che potrebbero posticipare l’aumento dei tassi. Il che sta aiutando ad allontanare e potenzialmente a limitare il tanto temuto ciclo di politica economica restrittiva. Inoltre, le ondate di Quantitative easing hanno ridotto i rendimenti in molti settori del reddito fisso. Anche dopo il sell-off di inizio maggio, ampie fasce di mercati dei tassi si attestano su rendimenti negativi. La ricerca di rendimento positivo continuerà probabilmente a motivare gli investitori istituzionali, in particolare i gestori di fondi nei comparti previdenziale e assicurativo”.
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