Lusso, la Cina non è tutto

Il comparto dell’alta gamma ha subito pesanti vendite dopo la svalutazione dello yuan, ma l’effetto sui conti societari è limitato. Ora i prezzi dei titoli sono di nuovo convenienti. 

Francesco Lavecchia 25/08/2015 | 10:58
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Lusso e Cina è un matrimonio a prova di svalutazione. I titoli del comparto stanno pagando in queste settimane il deprezzamento della moneta cinese, ma il mercato sembra aver reagito in maniera spropositata. In primo luogo perché tale operazione era prevedibile e resta comunque di piccola portata, in secondo luogo perché l’impatto sui conti delle società del settore è limitato e non compromette le enormi potenzialità del mercato cinese.

Svalutazione prevedibile e limitata
“La decisione della Banca centrale di svalutare il renminbi per ridare vigore all’economia del Dragone ha colto di sorpresa gli operatori, ma era una mossa del tutto prevedibile, se si considerano i fondamentali della valuta cinese. Ci aspettiamo che questo trend prosegua anche nei prossimi mesi”, dice Scilla Huang Sun, gestore del fondo JB Luxury Brands. “La Banca del Popolo continuerà ad agire sul tasso di cambio in maniera graduale, poiché un forte deprezzamento della moneta comporterebbe la perdita di potere d’acquisto per i consumatori cinesi, ed è quindi lecito attendersi che la domanda di beni di lusso da parte dei cinesi non subisca variazioni di rilievo, ma che al massimo la svalutazione dello yuan induca uno spostamento dei consumatori verso altri paesi più convenienti come il Giappone, l’Europa o la Corea del Sud”.

Come leggere i conti societari
Il reale effetto della svalutazione dello yuan sui bilanci delle aziende del lusso, conti alla mano, è inoltre limitato.“Guardando all’esposizione verso la Cina o alla regione Asia-Pacifico (a seconda di come vengono riportano i dati in bilancio) per le società del settore coperte dall’analisi Morningstar, si nota che essa va da un minimo del 10%, nel caso delle americane Coach e Ralph Lauren, fino al 38% di Swatch e oltre il 40% di Richemont, dice Paul Swinand analista azionario di Morningstar. “Questo significa che la svalutazione dell’1% dello yuan,  per una società che realizza il 10% delle sue vendite in Cina, si traduce in una perdita massima dello 0,1% sul fatturato complessivo. Volendo utilizzare i numeri correnti, avremo che al momento la manovra della Banca del Popolo (cioè una svalutazione del cambio del 3%) pesa sui conti di Richemont approssimativamente per l’1,3%. (al netto della variazione degli altri tassi di cambio)”.

“A questo, poi, va aggiunto che la maggior parte delle società raggruppa i dati sulle vendite per area geografica e non per singolo paese e questo complica la reale valutazione dell’oscillazione del tasso di cambio”. Swatch, ad esempio, ha riportato nei suoi conti per il 2014 che il 38% del fatturato è stato prodotto in Cina. Ma questo includerebbe anche Hong Kong, che invece non è influenzata dalla svalutazione della moneta. Stesso discorso vale anche per Macao, il cui peso sui bilanci delle società analizzate da Morningstar varia dal 3% al 6%. L’enfasi data alla svalutazione del renminbi è dunque eccessiva, anche perché negli ultimi nove mesi le società del settore hanno dovuto fronteggiare minacce ben più grandi come il calo del traffico di turisti a Hong Kong e Macao e i provvedimenti anti-corruzione del Governo di Pechino (che pesano sugli acquisti di gioielli e orologi).

Il sell-off ha creato opportunutà
Nelle ultime due settimane i titoli del comparto hanno realizzato in Borsa perdite superiori al 10% (LVMH -16%, Salvatore Ferragamo -15,18%, Burberry -14,56%; rendimenti in euro al 22 agosto). Questa è una pessima notizia per gli azionisti, ma apre a nuove possibilità di investimento chi fosse interessato a prendere posizione su un settore tra i più difensivi, dalle ottime prospettive di crescita e che si caratterizza per l’elevata profittabilità delle aziende. Le vendite di beni di lusso risentono in maniera limitata dell’andamento del ciclo economico, inoltre la crescita della classe media nei paesi emergenti come India, Cina e Brasile promette di creare nuove opportunità per le aziende nel medio termine.

Il buon andamento dei ricavi nel primo trimestre dell’anno, trainato dalle vendite nei paesi emergenti e in Asia, e (per le aziende del Vecchio continente) il favorevole andamento del tasso di cambio avevano fatto lievitare il prezzo delle azioni oltre il fair value calcolato da Morningstar, ma ora le valutazioni sono tornate ad essere convenienti. La raccomandazione degli analisti è quella di concentrarsi sui titoli di società che possono vantare una forte posizione di vantaggio competitivo (Economic moat), frutto dell’elevato valore dei loro marchi, che riescono ad abbinare storia e prestigio come LVMH, Prada, Richemont, Burberry e Swatch.  

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Titoli citati nell'articolo

Nome TitoloPrezzoCambio (%)Morningstar Rating
Burberry Group PLC899,80 GBX2,58Rating
Compagnie Financiere Richemont SA Class A117,70 CHF0,04Rating
LVMH Moet Hennessy Louis Vuitton SE574,60 EUR-0,05Rating
Prada SpA54,85 HKD-2,23Rating
The Swatch Group AG31,50 CHF-0,63

Info autore

Francesco Lavecchia

Francesco Lavecchia  è Research Editor di Morningstar in Italia

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