Non è ancora arrivato il momento per intonare il de profundis al carbone. E’ vero che l’uso di questa materia prima, anche a causa delle politiche ambientaliste, sta diminuendo nei paesi sviluppati. Ed è altrettanto certo che i ritmi di utilizzo in Cina, per gli stessi motivi, non sono più quelli di una volta. Ma, dicono diversi studi, il suo impiego crescerà negli altri paesi emergenti, facendo restare questo combustibile fossile una delle maggiori fonti energetiche a livello mondiale. E facendo risorgere le quotazioni dei titoli del settore.
Secondo l’Energy Outlook 2035 pubblicato a febbraio di quest’anno da BP, fino al 2020-2025 il Paese del drago resterà il primo consumatore mondiale di carbone con 390 Mtoe (milioni di tonnellate di petrolio equivalente, l’unità di misura che si utilizza per calcolare il consumo di carbone) che scenderanno progressivamente nei 10 - 15 anni successivi se Pechino riuscirà a portare avanti le drastiche misure anti inquinamento che sta introducendo.
Nel frattempo, sempre secondo lo stesso rapporto, aumenterà l’utilizzo di coal da parte dell’India e degli altri paesi emergenti asiatici. Una previsione in linea con quella fatta dal Massachusetts Institute of Technology nel suo 2014 Energy Climate Outlook che vede nell’esplosione demografica degli emerging e dei frontier market la ragione per cui molti di loro saranno costretti ad affidarsi a fonte energetiche a basso costo, per quanto inquinanti, nei prossimi 20-30 anni.
I prezzi scendono
Il settore carbonifero, intanto, sta soffrendo (così come le commodity in genere). Il prezzo della qualità Australia’s Newcastle (utilizzata come benchmark per il mercato asiatico) è sceso del 14% quest’anno, arrivando a 57 dollari per tonnellata. Un andamento che ha influito sulle quotazioni dei titoli specializzati sulla materia prima ma che, secondo alcuni operatori, anche alla luce degli sviluppi previsti nel lungo termine, ha creato delle opportunità di acquisto. Gli analisti di Morningstar hanno individuato cinque titoli interessanti dal punto di visti del rapporto fra prezzo e fair value stimato e che, quindi, hanno un rating elevato (vedi tabella).
I vantaggi del no Moat
Una delle caratteristiche di queste aziende è quella di avere un Economic moat (il vantaggio competitivo) nullo o medio. Questo difetto, tuttavia, in determinate situazioni perde di importanza. “Prima di tutto va considerato che ci sono segmenti in cui è difficile trovare società con un buon vantaggio competitivo a un prezzo interessante”, spiega Susan Dziubinski, analista di Morningstar. “Questo non significa che non ci siano opportunità ma che, più semplicemente, c’è più incertezza”. Ma investire in questo tipo di asset richiede un atteggiamento particolare. “Prima di tutto bisogna rendersi conto che questo tipo di società per esprimere il loro potenziale ha bisogno di tempi lunghi”, spiega l’analista. “Inoltre bisogna prepararsi a fare i conti con la volatilità. Le variazioni di prezzo per i titoli con un moat medio o nullo spesso sono notevoli”.
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