Le foto che arrivano dal Giappone continuano mostrare un panorama economico in chiaroscuro. Ma agli investitori, complice anche la debolezza dello yen che aiuta le aziende votate all’export, è uno stile che sembra piacere. Resta da capire quanto durerà.
L’indice Msci del Sol levante nell’ultimo mese (fino al 30 ottobre e calcolato in euro) ha guadagnato l’11,25%, portando a + 20,84% la performance da inizio anno (+10,93 e +11,3% gli andamenti in yen). Le buone notizie non mancano. La produzione manifatturiera è accelerata a ottobre registrando il passo più forte da febbraio. L'indice Nikkei Pmi del segmento è salito il mese scorso a 52,4 da 51 di settembre registrando la più alta lettura da ottobre del 2014, spinta soprattutto dai nuovi ordini. Ma intanto c’è da notare un nuovo calo dei prezzi al consumo: in settembre l'indice è sceso dello 0,1% su base annua; in agosto l'inflazione è tornata per la prima volta in campo negativo dopo le scelte di politica monetaria della Banca centrale giapponese di aprile 2013. In calo anche i consumi delle famiglie: a settembre sono scesi dello 0,4%. La BoJ, peraltro, ha annunciato che si allontana la possibilità di centrare l'obiettivo dell'inflazione al 2% secondo i tempi stimati, dopo il nuovo calo dei prezzi al consumo di settembre, e ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil.
La Banca centrale giapponese prevede di raggiungere l'obiettivo del 2% nel secondo semestre dell'esercizio 2016-2017 (ottobre-marzo) contro la precedente previsione del primo semestre. Nel frattempo ha abbassato la stima di crescita del Pil per il 2015-2016 dall’1,7% all’1,2% e dall’1,5% all’1,4% per il 2016-2017. Per l'anno fiscale in corso si prevede un'inflazione a +0,1% contro la precedente stima di +0,7%. A settembre, intanto, il tasso di disoccupazione è restato stabile al 3,4% della popolazione attiva, dopo essere sceso a luglio al 3,3%, il livello più basso da 20 anni. Lo scorso mese, il tasso di disoccupazione maschile era al 3,6% e quello femminile al 3,1%.
La debolezza dello yen
In questo quadro composito, l’interesse degli investitori per l’equity giapponese è stato stimolato soprattutto dall’indebolimento dello yen, frutto del Quantitative easing lanciato dalla Bank of Japan nel 2013 che, fra le altre cose, da allora ha permesso alla valuta nipponica di svalutarsi del 30% rispetto al dollaro. “Il problema, sia per gli investitori che per le aziende, è che una valuta in costante calo non è una buona cosa per la crescita di lungo periodo degli utili societari”, spiega Patricia Oey, analista di Morningstar. Il governo nipponico, intanto sta studiando alcune mosse per aumentare il valore dell’equity del paese (che storicamente è la metà di quello Usa) e renderlo un po’ più stabile. Ad esempio, spingendo le big company a investire una parte delle grandi riserve di denaro che tengono in cassa per i momenti difficili (un asset che non dà frutti) e cercando di convincerle a togliere dalla Borsa le controllate che sono ormai alla canna del gas. Nel frattempo è stato lanciato un nuovo indice (il Nikkei 400) nel quale sono raccolte le aziende che hanno i migliori utili per azione e che posseggono i più alti standard di trasparenza nei confronti degli azionisti. Caratteristiche che, sperano le autorità di Borsa, possano spingere i fondi istituzionali e quelli pensione a investire su un maggior numero di azioni rispetto al paniere Nikkei 225.
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