Vade retro pensione

L’aumento dell’aspettativa di vita nei paesi sviluppati  e in alcuni emergenti sta creando un esercito di anziani che non ha intenzione di ritirarsi dal lavoro e che può dare nuova linfa alle proprie finanze, all’economia e all’industria della gestione del risparmio. 

Marco Caprotti 20/11/2015 | 09:52
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“Contrariamente all’opinione corrente, il cervello non va fatalmente incontro con gli anni a un processo irreversibile di deterioramento”, spiegò una volta la neurologa Rita Levi Montalcini. “Sia Tiziano che Michelangelo e molti altri artisti di straordinarie capacità creative, Picasso tra questi, continuarono a realizzare opere di eccezionale valore sino a tarda età”. Ma non c’è bisogno di scomodare i grandi artisti (bastano le statistiche) per dire come siano sempre di più le persone anziane che non hanno intenzione di passare il tempo a guardare i cantieri. E che, aggiungono le analisi, possono dare un contributo positivo all’economia.

Più lavoro, più soldi
Secondo uno studio recente, condotto da AIG Life and Retirement in collaborazione con Harris Interactive and Age Wave, solo il 20% degli americani in età pensionabile vuole tirare completamente i remi in barca. Certo, non intendono più lavorare con gli stessi ritmi di prima, ma sono convinti di poter ancora dare un contributo a un miglioramento delle loro finanze, a quello della congiuntura nel suo complesso e, a ruota, a quello dell’industria del risparmio. Una sensazione che trova il conforto dei numeri. Secondo un report del Center for Housing Studies dell’università di Harvard, oggi il 65% degli americani over 65 fa ancora parte della forza lavoro attiva rispetto al 13% del 2000. Il risultato è che, mediamente, la loro ricchezza è cresciuta del 26% (per quelli compresi fra 65 e 69 anni) e del 23% (per chi ha fra i 70 e i 74 anni). Percentuali che hanno importanti riflessi sull’economia. Dice uno studio di Oxford Economics che entro il 2032, gli americani ultracinquantenni avranno in tasca 14mila miliardi di dollari. Praticamente metà del Pil Usa. Spostandosi in Europa, l’International Longevity Center ha calcolato che nel Regno Unito, aumentare il numero dei lavoratori attivi over 65 di un 2,6% all’anno, potrebbe spingere il Pil pro capite del 6%, aggiungendo 1.700 miliardi di sterline all’economia del Regno Unito. Uno studio simile condotto in Giappone ha dimostrato che con cinque anni in più di lavoro il Pil pro capite salirebbe del 10% entro il 2025.

Erario a rischio
Non muoversi in quella direzione, almeno secondo le ricerche, potrebbe essere pericoloso non solo per la salute finanziaria e fisica delle persone, ma anche per l’erario. Senza tirare in ballo le statistiche su quanto costano le pensioni baby e d’oro alle casse pubbliche italiane (e tacendo per carità di patria sulla questione degli esodati), uno studio di Pew Research dice che le spese pensionistiche pubbliche entro il 2050 si mangeranno il 15% del Pil di diversi paesi europei. Il problema non è solo delle aree sviluppate. L’Accademia cinese di scienze sociali stima che entro il 2050 alle varie soluzioni di pensioni pubbliche del paese mancheranno 800mila miliardi di yuan: 14 volte il Pil del 2013. “Lavorare più a lungo dà alle persone la capacità di accumulare ulteriori risparmi per la pensione definitiva”, spiega uno studio firmato da BlackRock, che ha raccolto la maggior parte bdei dati esposti. “Inoltre gli dà la possibilità di accedere a quegli asset di investimento necessari a venire incontro alle esigenze di un’aspettativa di vita sempre più lunga”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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