Prudenza è stata la parola d’ordine degli investitori sul mercato Usa nelle ultime settimane. Una scelta obbligata, in attesa che uscissero i dati macro che potevano (e possono) condizionare le scelte della Federal Reserve su un eventuale rialzo dei tassi di interesse. Ma, aggiungono gli operatori, in alcune occasioni la cautela è stata un po’ esagerata. Risultato: l’indice Russell 1000 relativo a Wall Street (che fa da benchmark alla maggior parte dei fondi dedicati agli Usa) fino all’8 dicembre (e calcolato in euro) ha perso il 2,8%. Uno scivolone dal quale si sono salvati gli investitori in fondi dedicati agli Usa che, per alcuni segmenti della categoria, a novembre hanno visto rendimenti anche vicino al 5% (che sfiorano il 2% in valuta Usa).
L’importanza del lavoro
Uno degli indicatori più attesi era quello sull’andamento del mercato del lavoro di novembre, da molti ritenuto come il vero faro delle scelte future della Fed. Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è rimasto stabile al 5% a novembre ai livelli più bassi dall'aprile 2008. Nel mese sono stati creati 211mila posti di lavoro, oltre i 200mila nuovi impieghi attesi dagli analisti. Il governo ha anche rivisto al rialzo i dati di settembre e ottobre sugli impieghi creati aggiungendo complessivamente 25mila unità. Secondo i numeri del dipartimento del Lavoro, i salari orari sono aumentati nel mese di quattro centesimi a 25,25 dollari, il 2,3% in più di un anno fa. La percentuale di americani che partecipa alla forza lavoro è salita al 62,5% a novembre dal 62,4%, ma resta ai minimi dagli anni Settanta. La creazione di nuovi impieghi è stata concentrata nel settore privato dove sono stati aggiunti 197mila posti di lavoro mentre l'aumento nel settore pubblico è stato di sole 14mila unità. A livello di settori, le costruzioni hanno aumentato la forza lavoro di 46mila unità, i servizi di 28mila unità, la ristorazione di 32mila e il commercio al dettaglio di 31mila. Per contro i servizi petroliferi hanno perso 11mila posti, risentendo del calo del prezzo del greggio.
Ce n’è abbastanza per convincere la Fed ad alzare i tassi? “Credo che il mercato abbia dato troppa importanza ai numeri di novembre sul lavoro”, spiega Robert Johnson, responsabile dell’analisi economica di Morningstar. “Si tratta di andamenti mensili che possono essere molto volatili rispetto ai 30 giorni precedenti. La Banca centrale non si basa solo su quelli per le decisioni di politica economica”.
Il resto del quadro
Per capire dove andrà la Fed, quindi, conviene scoprire nuovi particolari della foto della congiuntura guardandola da diverse angolature. Come quella del deficit della bilancia commerciale statunitense, che si è allargato a ottobre, complice il calo delle esportazioni. Il disavanzo, secondo il dipartimento del Commercio Usa, si è attestato a 43,9 miliardi di dollari a fronte dei 40,5 miliardi attesi dagli analisti. Il dato di settembre è stato rivisto a 42,46 miliardi da 40,81 miliardi di dollari. L’export è sceso dell’1,4%, l’import dello 0,6%.
Il Pmi dei servizi, misurato da Markit, è salito a 56,1 punti in novembre da 54,8 in ottobre. Si tratta della performance più alta da agosto. Ogni dato sopra 50 punti indica una fase di espansione delle attività economiche.
Qualche elemento in più al quadro congiunturale è stato aggiunto dal Beige Book della Fed (il rapporto sullo stato di salute dell'economia americana che l’istituto pubblica ogni sei settimane), secondo cui l’attività economica americana “si è espansa a passo modesto” in molte regioni tra metà ottobre e il 20 novembre scorso. In 10 dei 12 distretti analizzati, la Fed ha visto una crescita “modesta”, “moderata” o “costante”. Le condizioni si sono attenuate nel distretto di New York e sono state “in qualche modo più lente” in quello di Boston.
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