Sarà la generazione dei Millennials a far decollare gli investimenti socialmente responsabili? Secondo una ricerca di Morgan Stanley, dal titolo Sustainable signals: the individual investor perspective (febbraio 2015), l’84% dei giovani nati dopo il 1980 è interessato a risparmiare in modo “sostenibile”, una percentuale molto più alta rispetto ai loro genitori e nonni.
La maggior sensibilità dei Millennials è testimoniata anche da altre ricerche. Ad esempio, un’indagine del Pew Research Center (2011) rivela che questa generazione, e in una certa misura anche quella X (nati dopo il 1960), è più preoccupata delle tematiche ambientali e del riscaldamento globale rispetto ai baby boomers, figli del dopo-guerra.
Giovani e donne
Nell’approccio socialmente responsabile, i giovani hanno come alleate le donne, le quali, secondo diverse ricerche, considerano importanti i cosiddetti criteri Esg (Environmental, social and governance) nel prendere decisioni di investimento, molto più degli uomini. Queste due categorie stanno diventando sempre più rilevanti, almeno negli Stati Uniti. Si stima che oltreoceano, le donne siano responsabili delle scelte su circa il 40% del patrimonio investibile (fonte Morgan Stanley). Inoltre, si prevede che circa 30 mila miliardi di dollari passeranno dai baby boomers alle generazioni successive nei prossimi 50 anni (fonte Accenture).
Europa davanti agli Usa
I primi segnali di una maggiore attenzione alle tematiche Esg si sono già manifestati: dal 2012 al 2014, gli asset mondiali sono passati da 13,3 a 21,4 mila miliardi di dollari. L’Europa è un passo avanti rispetto agli Stati Uniti. Secondo il 2014 Global sustainable investment review, il 58% del patrimonio investito in Europa, lo è in modo socialmente responsabile, contro il 17,9% degli Usa. Sul totale, 13.608 miliardi sono nel Vecchio continente e “solo” 6.572 miliardi in America.
Come cambia l’industria
La crescita è trainata dagli istituzionali, che considerano la responsabilità sociale come parte dei loro mandati fiduciari. “Un esempio recente è rappresentato dal fondo pensione olandese, ABP, che con 350 miliardi di euro è uno dei più grandi mondiali”, spiega San Lie del Morningstar EMEA fund research team nell’ultimo Morningstar Magazine. “Nonostante fosse già in passato all’avanguardia su questo tema, ha annunciato ad ottobre un radicale cambiamento nella sua politica di investimento. Rispondendo alla richiesta dei suoi soci, ha fissato precisi e concreti obiettivi Esg”. Anche i private banker e le società di gestione stanno lavorando per rendere la loro offerta di prodotti più sostenibile. In Italia, i big del settore, come Generali Investments Europe, Eurizon Capital e Pioneer Investments hanno aderito ai Principles for Responsible Investment (PRI), i principi sui meccanismi di sostenibilità degli investimenti, nati dalla collaborazione tra il Programma ambientale dell’Onu e il Global compact, il gruppo di lavoro istituito sempre presso le Nazioni Unite per incoraggiare le aziende ad assumere comportamenti per favorire un’economia “sana”.
Il panorama finanziario, comunque, è eterogeneo. Secondo lo studio di Eurosif (2014), l’organizzazione pan-europea degli investimenti Esg, il mercato francese è tra i più attivi, in particolare per quanto riguarda i cosiddetti investimenti best-in-class (selezione dei migliori investimenti tenendo conto dei criteri Esg) e sustainability-themed (investimenti in temi o asset che promuovono la sostenibilità). Nel Regno Unito, la strategia più diffusa è quella di avere un ruolo attivo nel promuovere queste tematiche nelle aziende (engaging and voting). In Italia, gli approcci più popolari sono basati sull’esclusione di determinati titoli dal portafoglio e la selezione fondata su standard internazionali o norme etiche. Un fenomeno in crescita in tutto il Vecchio continente è l’impact investing, ossia l’investimento in imprese, organizzazioni e fondi con l’obiettivo di generare un impatto sociale ed ambientale, oltre a un ritorno economico sul capitale.
Risparmiatori diffidenti
“Un elemento che accomuna gli Stati Uniti e l’Europa è la scarsa presenza di investitori retail”, dice San Lie. “Le cause possono essere la mancanza di una chiara definizione di cosa sia socialmente responsabile e della convinzione che i criteri Esg siano penalizzanti dal punto di vista delle performance. Tale percezione dovrebbe cambiare nel tempo. Numerosi studi accademici e dell’industria mostrano che gli investimenti attenti ai criteri sociali e ambientali non si comportano peggio di quelli tradizionali. Inoltre, ci sono crescenti evidenze che, incorporando tali fattori nel processo di gestione, si ha un impatto positivo sulle performance”.
Nel 2014, i ricercatori dell’università di Oxford, hanno esaminato circa 200 studi sul tema e hanno scoperto che il 90% di quelli sul costo del capitale indicano un effetto positivo degli standard sostenibili su questa variabile, l’88% mostra che solide pratiche Esg permettono alle aziende di avere migliori risultati operativi e l’80% conclude che c’è una relazione positiva tra i prezzi dei titoli e le buone pratiche societarie. Per quanto riguarda i fondi, usando il Morningstar rating come indicatore del profilo di rischio/rendimento a confronto della categoria, i 1.797 comparti socially conscious presentano un numero minore di prodotti a una e due stelle e maggiore a tre e quattro (dati al 30 settembre 2015).
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