Il mercato degli Etf (Exchange traded fund) si evolve velocemente. Oggi gli investitori hanno accesso a fondi passivi che replicano indici ispirati a strategie attive. Il segmento degli Smart beta, chiamati da Morningstar Strategic beta, sta crescendo molto.
Finora, la maggior parte dell’offerta si è concentrata su prodotti azionari, tanto che Strategic beta e Equity factor investing sono diventati sinonimi. Per contro, il patrimonio in Etf obbligazionari di questo tipo supera appena l’1% del totale e il numero di strumenti è esiguo. Perché?
Le differenze
Quando si parla di Strategic beta, pensare alle azioni è più immediato, perché il mercato è più semplice e c’è una relazione unica tra il titolo e l’azienda che rappresenta. Per contro, nel segmento obbligazionario, ogni entità, sia essa governativa o societaria, fa regolarmente più emissioni, con caratteristiche differenti (durata, cedole, seniority, ecc.), che si comportano in modo diverso. Inoltre, l’equity opera su mercati consolidati con prezzi ufficiali, mentre spesso i bond sono quotati over-the-counter (fuori dalla Borsa) e hanno molteplici fonti di prezzo.
La struttura più semplice dell’azionario ha permesso agli accademici di isolare i fattori che determinano le performance di un titolo, come il valore, il momentum e la volatilità. Grazie anche all’evoluzione tecnologica, i provider di indici hanno potuto creare dei benchmark basati su questi elementi, che sono successivamente stati impiegati dagli emittenti di Etf ed offerti agli investitori.
I limiti degli indici tradizionali
Nonostante il focus sull’azionario, non sono mancati i tentativi di lanciare Strategic beta obbligazionari. L’idea di fondo è che il criterio della capitalizzazione di mercato ha dei difetti, perché espone agli emittenti più indebitati, assumendo quindi molto rischio. Questa ragione funziona bene per promuovere i nuovi strumenti, ma nella realtà il mondo dei bond è molto più complesso.
Se si cerca solo di evitare gli emittenti più indebitati, si ottiene un indice molto difensivo, che non sempre funziona. Guardiamo ad esempio al mercato del debito sovrano dell’Eurozona da metà 2012. Qualsiasi investitore razionale avrebbe preferito i titoli periferici, più rischiosi, per trarre beneficio dal potenziale rialzo generato dalle politiche monetarie straordinarie decise dalla Bce, nella consapevolezza che le strategie basate sulle obbligazioni più sicure avrebbero sotto-performato.
Più recentemente, i messaggi promozionali sono stati raffinati, mettendo l’accento sulla capacità dell’emittente di ripagare il debito, più che sul livello assoluto di quest’ultimo. La combinazione di analisi qualitative e quantitative per capire le probabilità reali di default è un modo più corretto per esporsi ai bond. In ogni caso, gli indici di questo tipo continuano a presentare un eccessivo orientamento difensivo.
Il futuro
Il potenziale per lo sviluppo di Strategic beta obbligazionari rimane, dunque, in gran parte inesplorato. I fattori-chiave, che determinano i rendimenti dei bond sono due: il rischio-tassi e il rischio di credito. I prodotti che vogliono allontanare gli investitori dal pericolo di un default colgono solo uno dei due aspetti, per altro in modo parziale. In futuro, è auspicabile una maggior attenzione dei provider di indici ed Etf al rischio-tassi con un approccio dinamico. E’ anche importante verificare che i nuovi benchmark, volti a replicare strategie attive, non siano solamente dei “buoni costrutti teorici”, ma realmente investibili. Se ciò non accadrà, l’offerta di Strategic beta obbligazionari rimarrà limitata.
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