Jeremy Glaser: La decisione della Federal Reserve di alzare i tassi di interesse di un quarto di punto va nella direzione di una normalizzazione delle politica monetaria della Banca centrale americana dopo le misure straordinarie adottate all’indomani della crisi finanziaria. Oggi sono in compagnia di Bob Johnson, economista di Morningstar, per capire quale impatto potrà avere questa mossa sull’economia americana.
Glaser: Bob, grazie per essere qui.
Bob Johnson: Grazie per avermi invitato.
Glaser: Iniziamo col dare uno sguardo alla relazione della Federal Reserve. La Banca centrale ha alzato i tassi di interesse dello 0,25% e questa era una decisione al quanto prevedibile da parte del mercato. C’è qualcosa nelle motivazioni della Fed o nelle dichiarazioni in conferenza stampa che invece ti hanno sorpreso?
Johnson: Mi ha colpito il fatto che durante la conferenza stampa abbiano parlato molto dei tassi di interesse di lungo periodo. Il meeting di oggi era incentrato sull’innalzamento dei saggi di riferimento della Fed e la definizione di operazioni sul mercato monetario ad esso correlate, cioè a quello che di solito fa la Banca centrale. Ricordiamoci che storicamente la Federal Reserve è stata interessata ai tassi di breve termine e il Quantitative easing è stato interamente basato sullo schema di acquisto di titoli a lunga scadenza al fine di far scendere anche quelli a breve. Nel meeting di oggi, invece, molta attenzione è stata data alle misure previste per stabilizzare il mercato monetario nel lungo periodo ed è per questo che dopo la decisione della Fed i tassi di interesse a lungo termine si sono mossi di più rispetto a quelli a breve.
Glaser: Il presidente della Federal Reserve, Janet Yellen ha detto che non bisogna pensare a quest’ultimo intervento come a un’operazione di grossa portata e che gli investitori sbagliano nell’essere troppo preoccupati nel capire quando realmente i tassi di interesse inizieranno a salire. Le Borse, in effetti, sono salite moderatamente dopo l’annuncio. Credi anche tu che questo sia stato un cambiamento di importanza marginale rispetto all’andamento dell’economia nel suo complesso?
Johnson: Abbiamo sempre detto di non essere interessati a sapere il mese in cui la Federal Reserve avrebbe iniziato ad alzare i tassi. Molto più importante, invece, è conoscere le mosse della Banca centrale nel lungo termine. Nonostante non si sappia molto di ciò che farà nel futuro, la buona notizia è che ora abbiamo la sicurezza che la Fed ha compreso i progressi dell’economia americana e che ha iniziato a normalizzare la sua politica monetaria. Non credo che questo intervento cambi molto le cose e le mie previsioni non subiranno variazioni in seguito all’aumento di un quarto di punto dei tassi di interesse. Nel corso di quest’anno sono previsti nuovi incrementi che, a mio avviso, non avranno un peso significativo sulla congiuntura.
Ad esempio, prendiamo i finanziamenti per l’acquisto di un’auto. Dato che in questo caso il tasso si muove in un rapporto di uno a uno con quello di riferimento della Fed, l’aumento del costo del denaro si tradurrebbe in oneri finanziari aggiunti quantificabili in circa 15-20 dollari per un prestito pari a 25.000 dollari. Quindi un impatto del tutto irrilevante sull’economia nel breve periodo.
Glaser: Perché credi che nel breve periodo questa mossa della Fed possa piacere al mercato?
Johnson: La risposta è semplice. Al mercato piace avere il controllo delle cose. Le Borse sono in grado di reagire molto bene alle cattive notizie, a patto che sappiano di cosa si tratta, cosa potrà andare male e quali le tempistiche. Quello che invece non riescono a digerire sono le incertezze, i “Forse faremo; forse no”. Abbiamo assistito più volte a situazioni in cui prima dei meeting della Fed gli analisti si chiedevano cosa sarebbe successo, i listini scendevano velocemente e poi risalivano all’indomani dell’incontro del board, perché nessuna decisione era stata presa. La ragione per cui adesso il mercato è così stabile è che si ha una visione chiara di quello che la Banca centrale farà nei prossimi mesi. Esiste un programma preciso e credo che gli operatori si sentano a proprio agio in una condizione di questo tipo.
Glaser: Guardando il sentiero tracciato dalla Fed, credi sia plausibile un aumento dei tassi dell’1% nel 2016 e poi ancora nel 2017 e nel 2018? Credi che l’obiettivo di lungo periodo, cioè sopra il 3%, sia realizzabile?
Johnson: Probabilmente è una strategia un po’ aggressiva. Credo che per la fine del 2016 saremo sicuramente sopra l’1%; le previsioni del mercato indicano un 1,1%, mentre la Fed dice che potrà arrivare all’1,4%. Il che implica un incremento dello 0,25% nei prossimi quattro trimestri. Sicuramente la Banca centrale terrà in considerazione altri dati macro, ma questo è il piano.
Tuttavia credo che sia una politica corretta. Quest’anno ci aspettiamo che l’inflazione salga leggermente. Non prevediamo nessun cambiamento di rilievo, ma pensiamo che il rialzo sia sostenuto dalla frenata della discesa del prezzo del petrolio, che negli ultimi due anni è calato in maniera significativa. In uno scenario caratterizzato da un indice dei prezzi al consumo più elevato, ha senso quindi che anche il tasso di interesse raggiunga un livello più elevato. Quello che mi lascia perplesso, invece, è l’obiettivo di far salire il costo del denaro al 3%-3,5% entro il 2018. Il tasso di inflazione resta comunque basso, come contenuti sono i tassi di crescita dell’economia. Le mosse della Federal Reserve, quindi, sono corrette in linea di principio, ma forse la Banca centrale sarà costretta a fermarsi prima di raggiungere la soglia del 3%, poiché questo potrebbe danneggiare l’economia americana.
Glaser: Hai detto di aspettarti un’inflazione in crescita nel 2016. Credi sia possibile che essa raggiunga il target del 2%?
Johnson: Penso di sì. Il tasso di inflazione core è ora tra l’1,3% e l’1,4% e anche l’indice CPI (Consumer Price Index) è all’1,8%, che è molto vicino all’obiettivo della Fed. Credo, quindi, che sia solo una questione di tempo prima che salga anche il PCE (Personal Consumption Expenditure Index). Mi aspetto dunque che l’inflazione core raggiunga il 2% entro la fine del 2016, grazie anche al rafforzamento della domanda di beni di consumo e di servizi negli Usa.
L’unico punto interrogativo riguarda l’impatto negativo prodotto dal calo del prezzo delle commodity. La mia opinione è che, nel caso in cui non si registri un nuovo deprezzamento delle materie prime, il tasso di inflazione potrà salire oltre il target del 2%. Anche perché va ricordato che il valore del settore sevizi è doppio rispetto a quello delle materie prime e che queste ultime sono scese molto negli ultimi anni.
Glaser: La Fed ha anche pubblicato alcune previsioni macroeconomiche. C’è qualcosa di importante da sottolineare?
Jonhson: Qualcosa c’è. Quello che loro stanno cercando di dire è: “Vogliamo normalizzare l’economia e riportala a ritmi usuali”. Quest’affermazione implica un tasso di interesse di lungo periodo attorno al 3%-3,5%, ma la mia obiezione riguarda la sostenibilità di questa politica nel caso in cui l’economia americana continui a crescere attorno al 2%.
Glaser: Allargando lo sguardo a quello che succede fuori dai confini americani, la Bce e la Bank of Japan mantengono una politica monetaria molto espansiva, mentre nei paesi emergenti aumentano le preoccupazioni circa l’impatto che le decisioni della Fed potranno avere sulle loro economie. Pensi che l’innalzamento dei tassi di interesse negli Usa potrà avere delle ripercussioni negative nel resto del mondo?
Johnson: Le conseguenze sui mercati emergenti sono difficilmente prevedibili. In queste regioni ci sono molte aziende e paesi il cui debito è prevalentemente denominato in dollari americani. L’apprezzamento del tasso di interesse non aumenterà in maniera insostenibile il peso degli oneri finanziari, ma gli creerà seri problemi se questo innalzamento dei tassi indurrà un deprezzamento della valuta locale. La più alta remunerazione del denaro e la maggiore stabilità economica negli Usa rischia di muovere i capitali fuori da questi paesi. I risparmiatori venderanno la moneta locale per acquistare dollari e questo si tradurrà in un deprezzamento della valuta interna e di conseguenza anche dei debiti denominati nella stessa. Nei paesi sviluppati prendere a prestito per ripagare i propri debiti è la norma, ma alcuni paesi emergenti sono già fortemente indebitati e un rafforzamento del dollaro li metterebbe in serie difficoltà.
Glaser: Da investitore ho aspettato per molto tempo una mossa da parte della Fed e ora finalmente è arrivata. Cosa dobbiamo attenderci nei prossimi due-tre anni dalla Banca centrale? Ci saranno altre novità?
Johnson: Mi aspetto che i tassi di interesse salgano, ma non in modo drastico. E, come ho detto in precedenza, che nel 2016 aumenti anche l’inflazione. Nel lungo termine prevedo tassi di interesse e inflazione su livelli più alti di quelli odierni, ma comunque inferiori a quelli che la gente potrebbe immaginare. Questo scenario non mi preoccupa, sicuramente non dismetterò tutti i miei investimenti in bond. Il mio suggerimento è ovviamente quello di essere cauti sui titoli con elevata duration, perché maggiormente sensibili al movimento dei tassi, ma le obbligazioni continueranno a svolgere un ruolo importanti nell’asset allocation degli investitori al fine di attenuare la volatilità della componente azionaria in portafoglio.
Glaser: Bob, grazie per la tua analisi.
Johnson: Grazie a te.
Glaser: Per Morningstar, Jeremy Glaser. Grazie per l’attenzione.
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