Il prezzo del petrolio è ai minimi da 12 anni (il Wti viaggia attualmente a 31 dollari al barile, dopo esser sceso sotto i 28 la settimana scorsa). Per avere un’idea del crollo verticale del greggio non occorre andare troppo in là nel tempo, quando viaggiava sui 120 dollari (e secondo alcuni analisti avrebbe raggiunto i 200), basta bensì notare come negli ultimi sette mesi abbia perso il 60% del suo valore.
Una caduta del genere potrebbe far drizzare le antenne a quegli investitori contrarian che puntano proprio ai rimbalzi (anche di breve periodo) di quelle classi di attivo out of favour, cioè che hanno perso molto recentemente.
Tuttavia, in questo caso la parola d’ordine è “prudenza”: il greggio non è un’asset class come tutte le altre, a causa della moltitudine di fattori, soprattutto geopolitici, che ne determinano il valore.
Il ruolo dell’Iran
Dal lato dell’offerta, saranno le prossime mosse dell’Opec (il cartello che riunisce i maggiori paesi produttori) a influenzare la produzione nel breve-medio periodo. “Come per altre materie prime, il greggio è soggetto a shock di offerta, che possono portare a movimenti estremi nei prezzi. Dato che il petrolio è prevalementemente prodotto in alcune delle regioni politicamente più instabili del mondo, è particolarmente suscettibile a eventuali interruzioni nell’approvvigionamento”, commenta Kenneth Lamont, analista di Morningstar, in una recente nota.
A questo proposito, un aspetto da tenere in considerazione è l’effetto che potrà avere il ritorno dell’Iran sul mercato, a seguito dell’accordo che ha rimosso le sanzioni economiche a cui il paese medio-orientale era soggetto dal 2010. “Questo sbloccherà automaticamente il settore petrolifero iraniano, che pesa per il 25% del Prodotto interno lordo, consentendogli di aumentare la propria produzione giornaliera di 600 mila barili (in parte derivanti dalle scorte già esistenti), tornando così ai livelli pre-crisi di 4,1 milioni di barili al giorno”, spiega un recente studio a cura di Euler Hermes Economic Research. “Si stima che nel 2017 il 5% della produzione mondiale proverrà dall’Iran, il che avrà come conseguenza ulteriori pressioni al ribasso sui prezzi petrolifieri, anche se il mercato ha già in parte prezzato il rientro iraniano”, continua l’analisi.
Una cosa è certa, Teheran farà tutto il possibile per riconquistare spazi sul mercato. In effetti una prima mossa c’è già stata: nel listino ufficiale di febbraio la National Oil Company ha abbassato i prezzi per i clienti europei. Tra l’altro, tradizionalmente l’Italia è il secondo mercato di riferimento per il petrolio iraniano, dopo il Giappone.
Crisi economica e clima mite non aiutano
Se infatti da un lato l’offerta sembra destinanta ad aumentare, dall’altro la domanda latita. La congiuntura economica globale sfavorevole e la produzione shale negli Stati Uniti hanno diminuito il fabbisogno generale di greggio, complici anche le temperature molto miti fin qui registrate in diverse parti del globo questo inverno.
“Ci sono pochi beni al mondo che non hanno sostituti immediati, sono risorse limitate e contano così tanto per il funzionamento dell’economia mondiale”, prosegue Kenneth Lamont. “La domanda aggregata di petrolio delle economie emergenti ha superato quella dei paesi sviluppati per la prima volta nella storia nel 2013, in particolare grazie alla Cina. È ragionevole pensare che nel futuro la domanda globale di greggio sarà quindi sempre più legata alla salute delle grandi economie in via di sviluppo”.
Offerta e domanda petrolifera mondiale dal 2010 al 2015
Fonte: International Energy Agency, Natixis AM
Equilibri che cambiano
“Tutto ciò implica grandi cambiamenti per i paesi produttori, soprattutto in Medio Oriente, dove i deficit pubblici sono aumentati drammaticamente nel 2015”, afferma Philippe Waechter, direttore della ricerca economica di Natixis Asset Management. “L’anno scorso il prezzo medio del Brent si è stabilito a 53 dollari, contro i 90 stimati nei bilanci statali. Questo si è già tradotto in diversi paesi del Golfo in un aumento del prezzo dei combustibili, in tagli delle esenzioni fiscali per le imprese e in altre misure di austerità”.
Anche gli equilibri tra membri Opec hanno un forte impatto. “Secondo molti, la decisione dell’Arabia Saudita di non ridurre la propria produzione coincide con la volontà di pesare durevolmente sui prezzi, al fine di non permettere all'Iran di ammodernare le sue strutture e limitare così la sua capacità di ritorno sul mercato”.
“Il prezzo dovrebbe assestarsi al di sotto di 30 dollari ancora per un po’, a meno di un accordo tra tutti i produttori per ridurre l’estrazione complessiva, oppure nel caso di un un rapido aumento della domanda mondiale a causa di una forte accelerazione della crescita. Nel breve-medio periodo non credo in nessuna di queste due possibilità”, conclude l’economista.
Il barile in portafoglio
Possibilità una volta riservata ai soli investiori istituzionali, oggi chiunque può esporsi ai movimenti del petrolio, grazie soprattutto agli Exchange traded commodity, strumenti facilmente scambiabili in Borsa e alla portata di chiunque abbia un mouse. Come mostra la tabella sottostante, a Milano sono quotati 27 Etc petroliferi, di cui 14 “strutturati”, cioè a leva (che moltiplicano il rendimento giornaliero dell’indice replicato in base alla leva scelta) oppure short (che restituiscono il rendimento giornaliero inverso del benchmark). In due casi, queste due caratteristiche vengono presentate assieme (leva inversa).
Proprio questi ultimi hanno segnato dei rendimenti notevoli nell’ultimo anno, il che non sorprende in un contensto come quello attuale. Tuttavia, prima di acquistare strumenti del genere, è meglio avere le idee chiare su come funzionano e su cosa investono.
Brent e Wti, gemelli diversi
Il primo passo per investire in prodotti petroliferi è avere ben chiara la differenza tra Wti e Brent. Oggi le loro quotazioni quasi coincidono, ma non sempre. Anzi ci sono stati periodi di forta divergenza, come nel biennio 2011-2012. Perché?
Il Brent (nome di un giacimento scoperto nel 1971 nel Mare del Nord al largo delle coste scozzesi) è di norma utilizzato come petrolio grezzo di riferimento a livello mondiale ed è la qualità più usata in Europa. Il Wti (acronimo di West Texas Intermediate), invece, è usato come parametro di riferimento per i contratti future al New York mercatile exchange. È la qualità più usata negli Usa, perciò molto più sensibile all’avanzata del petrolio di scisto.
Occhio al “contango” e al ribilanciamento
I replicanti dedicati al petrolio, per forza di cose, sono tutti “sintetici”. Per problemi di stoccaggio e conservazione della commodity in oggetto, infatti, questi strumenti si basano tutti su contratti future e non sull’acquisto del bene fisico (come può avvenire ad esempio con gli Etc dedicati ai metalli).
Il valore degli Etc sintetici non è dato solo dal prezzo spot (puro) della commodity, come avviene per quelli fisici. Un altro elemento molto importante nel determinarne il valore è legato al rolling, cioè la sostituzione del contratto future in scadenza. Il rolling è negativo se il contratto in scadenza ha un prezzo inferiore a quello nuovo (cosiddetto contango) ed è positivo nel caso opposto (backwardation). Perciò sui rendimenti di questi Etc pesa anche la scelta nella durata dei contratti future, che possono essere mensili, bimestrali o trimestrali.
Inoltre, come indicato precedentemente, i prodotti “strutturati” vengono ribilanciati giornalmente, il che significa che per periodi superiori a un giorno non si avrà esattamente il rendimento dell’indice doppio o inverso; anzi, più il periodo di detenzione è lungo e più la volatilità è elevata, maggiore sarà la differenza tra le performance. Clicca qui per visualizzare alcuni esempi.
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