Piazza Affari insegna alle small cap italiane come diventare grandi. Le imprese del Belpaese, infatti, soffrono di nanismo. Il complicato e costoso meccanismo di quotazione sui listini, lo scarso interesse da parte degli investitori istituzionali unito alla tendenza degli imprenditori a mantenere ben salde le redini della gestione societaria ha di fatto tenuto lontano le piccole imprese italiane dai mercati finanziari. Risultato: le aziende hanno continuato a far ricorso al solo finanziamento bancario e quindi a mantenere dimensioni molto limitate.
Qualcosa, però, sembra essere cambiato. Dal 2012, infatti, Borsa Italiana Spa, in collaborazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Confindustria, ABI (Associazione Bancaria Italiana) e l’Università Bocconi promuove il programma Elite con l’obiettivo di migliorare la cultura imprenditoriale, il meccanismo di governance delle società, l’organizzazione interna e la comunicazione con il fine di facilitare l’accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese in modo da dare a esse le risorse per realizzare i loro progetti di espansione.
Le regole del programma
Elite funziona come un’Università dell’imprenditoria: le aziende vengono selezione in basa a determinati parametri economici (fatturato minimo di 10 milioni di euro, Ebit superiore al 5% e un risultato netto in utile nell’ultimo esercizio) e alla credibilità del loro progetto di crescita, mentre il conseguimento del diploma è il risultato di un programma di formazione del management e del miglioramento della governance societaria, della comunicazione dei dati di bilancio e del controllo di gestione.
I risultati? Se va riconosciuto che solo in Italia (il programma è stato replicato nel Regno Unito e nel resto dell’Europa) il numero di adesioni è cresciuto del 630% dal 2012, Elite è rimasto circoscritto in alcune aree del paese e non è riuscito a coinvolgere trasversalmente tutti i settori economici. Oltre il 70% delle aziende partecipanti arriva dal Nord dell’Italia, il 62% è rappresentato dalle società attive nel comparto beni di consumo e manifatturiero, mentre quello finanziario, dei servizi pubblici e delle telecomunicazioni sono del tutto marginali.
I risultati
Nonostante questo il programmo si è dimostrato capace di raggiungere l’obiettivo di facilitare l’accesso delle imprese al mercato dei capitali. Nei circa tre anni dalla sua partenza, sono stati emessi 16 minibond per un ammontare complessivo di 330 milioni di euro, 18 aziende hanno beneficiato dell’investimento da parte di fondi di private equity, in 40 hanno ottenuto prestiti da parte di SACE e Simest (società per azioni controllate da Cassa Depositi e Prestiti e nate per supportare gli imprenditori Italiani ad espandersi su nuovi mercati) e 4 sono le società che sono sbarcate sul listino AIM di Borsa Italiana (mentre 18 sono i progetti di IPO ancora in atto). Bomi Group, leader nel settore della logistica biomedicale e della gestione di prodotti ad alta tecnologia per la tutela della salute (entrata nel programma ELITE nel 2012) ha debuttato su AIM Italia ad agosto 2014 raccogliendo circa 12,1 milioni di euro.
Giglio Group, che opera nel settore radiotelevisivo e dei new media, ha raccolto circa 6 milioni di euro. Tech Value, società specializzata nella fornitura di servizi IT per aziende engineering intensive del settore manifatturiero, ha messo in cassa poco meno di due milioni di euro, mentre il record è detenuto da Masi Agricola, specializzata nella produzione di vini di qualità, che è riuscita a rastrellare quasi 30 milioni di euro. Il programma ha promosso anche le partnership con altre imprese e ha stimolato l’interesse da parte di società più grandi. Sino ad ora, infatti, sono 70 le imprese coinvolte in operazioni di M&A o in progetti di Joint Venture.
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