Spendiamo troppo poco o spendiamo male? Secondo il 3° Rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale italiano, redatto dal Comitato tecnico scientifico di Itinerari Previdenziali e presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 18 febbario, la seconda ipotesi è più probabile della prima. In Italia, infatti, la spesa per il welfare è stata nel 2014 pari a 439,4 miliardi di euro, ossia il 53,2% dell’intera spesa statale comprensiva di interessi sul debito pubblico (826,3 miliardi) e il 57,7% al netto degli interessi. “Si tratta di una spesa difficilmente sostenibile negli anni a venire e che comunque già ora limita gli investimenti pubblici in tecnologia e ricerca e sviluppo, unica via per garantire la competitività del paese e un futuro più favorevole per le giovani generazioni, già gravate da un abnorme debito pubblico”, si legge nel Rapporto.
Lo studio fornisce una fotografia dettagliata del complesso sistema previdenziale del nostro paese, analizzando la spesa per pensioni, quella assistenziale, le prestazioni a sostegno del reddito e quella sanitaria.
Demografia e crisi non aiutano
La sostenibilità dei sistemi previdenziali pubblici si basa essenzialmente su due fattori: i trend demografici e l’occupazione. Secondo l’analisi, la crescita della longevità si riflette direttamente ed indirettamente sul sistema pensionistico: da un lato un numero crescente di pensioni vengono corrisposte per un numero maggiore di anni, dall’altro le pensioni di reversibilità fanno sì che la durata di vita di una pensione sia ben superiore alla durata di vita del pensionato. Nonostante le ultime riforme abbiano mirato proprio a invertire questa tendenza e ad aumentare l’età al pensionamento, i loro effetti saranno pienamente visibili solo nei prossimi anni. Oggi c’è un pensionato ogni tre individui in età lavorativa (non necessariamente anche occupati) e purtroppo questo rapporto è destinato a diminuire ancora in futuro.
Inps, buco di bilancio
Sfogliando la ricerca, si scopre che nel 2014 la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni è stata pari a 216,1 miliardi di euro. Dall’altro lato, le entrate contributive sono risultate pari a 189,6 miliardi, evidenziando così un saldo negativo tra contributi e prestazioni di 26,5 miliardi (in crescita del 4,95% rispetto al disavanzo del 2013).
Le gestioni Inps in attivo sono solo tre: la gestione commercianti, quella dei lavoratori dello spettacolo e la gestione parasubordinati con 6.943 milioni; presentano un attivo di bilancio anche tutte le Casse dei liberi professionisti (con l’eccezione dell’Inpgi e della Cipag). Senza questi attivi, il passivo generale di bilancio sarebbe passato a 37,6 miliardi.
Differenza tra previdenza e assistenza
Uno dei dati più interessanti del Rapporto è che il 52,2% dei pensionati italiani (circa 8,5 milioni su 16,4 milioni) percepiscono prestazioni totalmente o parzialmente a carico della fiscalità generale. “Separare la spesa assistenziale da quella previdenziale fa chiarezza su voci che sono molto diverse tra loro, ma è anche un esercizio di equità tra chi ha versato e chi no”, afferma in una nota Alberto Brambilla, ex-sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2006, oggi coordinatore del comitato tecnico-scientifico di Itinerari previdenziali nonché della Giornata nazionale della previdenza. Insomma, è vero che il 40% delle prestazioni è inferiore ai 1.000 euro al mese, ma non sono pensioni, sono prestazioni assistenziali, precisa l’analisi.
Se separassimo davvero le prestazioni previdenziali da quelle assistenziali, quindi, si scoprirebbe che il bilancio pensionistico reale è quasi in pareggio, con un piccolo disavanzo di 560 milioni di euro. Inoltre, con questa separazione, il peso della spesa pensionistica in rapporto al Prodotto interno lordo scenderebbe dal 15,5% al 10%, allineandosi alla media europea.
Parallelamente, il Rapporto evidenzia come la spesa assistenziale nel 2014 è stata pari a 119 miliardi di euro, il 69% della spesa pensionistica, “il che dovrebbe far molto riflettere, perché è questa la vera voce di bilancio da mettere sotto controllo”, conclude Brambilla.
La carica dei pensionati d’oro
Per la prima volta, lo studio ha anche cercato di completare l’analisi inserendo un capitolo dedicato alle prestazioni pensionistiche e ai vitalizi non compresi nel bilancio previdenziale. I dati raccontano che nella classifica dei pensionati più ricchi al primo posto si trovano i notai. Seguono i giornalisti, i dirigenti d’azienda, gli iscritti al Fondo volo (dipendenti di aziende di navigazione aerea), i commercialisti e gli avvocati.
Per quanto riguarda invece le “pensioni d’oro”, Itinerari Previdenziali ne recensisce quasi 30 mila in Italia, per una spesa complessiva di poco più di 1,5 miliardi di euro. In testa c’è la Regione Sicilia, con più di 16 mila pensionati che incassano, in media, 40 mila euro all’anno, per un totale di 656 milioni di euro. Ma le rendite più alte sono quelle degli ex giudici della Corte Costituzionale, che in 29 si dividono 5,8 milioni di euro all’anno, per una pensione media di 200 mila euro.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.