L’Italia è tra i paesi con il più alto numero di fondi azionari Europa large cap che mascherano sotto una veste attiva una gestione passiva. A rivelarlo è la ricerca dal titolo Active share in European equity funds, realizzata da Morningstar. L’analisi mostra che il 66% del patrimonio dei comparti specializzati sulle Borse del Vecchio continente ha un active share (indicatore di quanto un portafoglio azionario differisce dal benchmark) inferiore al 60% (considerata dai ricercatori la soglia critica), sotto la media europea che è del 69,6% (l’orizzonte temporale considerato è di tre anni). Se è vero che il numero di prodotti domiciliati in Italia di questo tipo è contenuto (15), il risultato è comunque significativo perché in termini assoluti indica che più di un manager su due è un “finto” attivo.
Per gli investitori italiani è utile guardare anche ai dati relativi all’Irlanda e al Lussemburgo, dal momento che essi rappresentano una quota significativa dell’offerta domestica. Per quanto riguarda il primo paese, gli asset con active share inferiore al 60% sono quasi il 55% pari al 26,9% dei fondi. Nel Granducato, invece, le percentuali sono più basse, rispettivamente il 14,2 e il 16,9%. Tra i meglio posizionati ci sono, invece, Spagna, Portogallo e Francia.
Dove l'active share è sotto il 60%
Fonte: Morningstar
Come spiegare le differenze
“Fattori come la regolamentazione e la struttura dell’industria possono spiegare le discrepanze tra i paesi”, si legge nel rapporto Morningstar. “Gli studi di Martijn Cremers e Antti Petajisto (i primi ad introdurre il concetto di active share, Ndr) del 2015 hanno, infatti, individuato una correlazione negativa tra incremento di prodotti dichiaratamente indicizzati in un determinato paese e il livello di closet indexing. Inoltre, essi sostengono che il passaggio da sistemi previdenziali pubblici al regime contributivo ha accresciuto la diffusione di strumenti passivi a basso costo e, di conseguenza, gioca un ruolo importante nel livello di attivismo dei manager. Essi concludono, quindi, che la maggior concorrenza di index fund ed exchange traded fund porterà le società di gestione a essere più attive nella gestione oppure ad abbassare i prezzi”.
I costi
In effetti, uno degli aspetti critici dei prodotti indicizzati mascherati da attivi è il costo. Esso, infatti, è una componente essenziale nel determinare la capacità di un fondo di battere il benchmark. In termini assoluti, lo studio di Morningstar mostra che i fondi più attivi sono anche quelli con commissioni più elevate, sia nelle classi retail sia nelle istituzionali. Tuttavia, se si calcolano le spese correnti per unità di active share, emerge che gli investitori sovra-pagano i comparti meno attivi. In ogni caso, esiste una grande dispersione attorno alla media delle fee, per cui è bene sempre valutare caso per caso.
I “finti” attivi non sono molti
Il fenomeno del closet indexing in Europa è meno diffuso di quanto potrebbe credersi. Tra i fondi azionari specializzati sulle società a larga capitalizzazione del Vecchio continente, il 20,2% ha questa caratteristica mentre la maggior parte ha un active share tra il 60 e il 90%. Oltre tale soglia ci sono pochi prodotti (2,4%).
Il grado di attivismo non è statico, ma varia nel tempo. Durante la crisi finanziaria del 2008-2009 l’active share è diminuito, mentre negli ultimi anni è scesa la percentuale di semi-indicizzati. In altre parole, sembra esserci una relazione inversa tra avversione al rischio e scommesse attive da parte dei gestori. Nel lungo termine, intervengono anche altri fattori, come ad esempio i cambi normativi, le prese di posizione delle autorità regolamentari e, non meno importante, il comportamento degli investitori.
Gli investitori preferiscono gli attivi
L’analisi dei flussi, infatti, dimostra che c’è una chiara preferenza per la gestione attiva. Tra il 2011 e il 2014, la raccolta è andata interamente nella metà più attiva dei fondi azionari Europa large cap.
I fondi attivi fanno il pieno
Fonte: Morningstar
Quale beneficio hanno tratto gli investitori da questa scelta? Lo studio di Morningstar rivela che i fondi più attivi hanno ottenuto rendimenti migliori, ma le condizioni delle Borse possono far variare sensibilmente il risultato. Nell’ultimo decennio, l’excess return medio (rendimento in eccesso rispetto al benchmark) è è cambiato a seconda delle fasi dei mercati, tuttavia l’analisi dei dati rivela che i semi-passivi hanno sempre fatto peggio dei concorrenti attivi La media nasconde una grande varietà di performance. In pratica man mano che l’active share aumenta è più probabile trovare sia fondi che sono i migliori sia prodotti tra i peggiori nella categoria. Di conseguenza, l’indicatore non è di per sé rivelatore di un buon fondo, ma va utilizzato insieme ad altre misure.
E’ bene anche ricordare che l’active share non misura l’abilità del gestore, ma solo la differenza tra il suo portafoglio e il paniere di riferimento e che l’appropriatezza di quest’ultimo è un fattore fondamentale per l’analisi.
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