Attenti al rame. Le previsioni sul metallo, infatti, potrebbero essere più cupe di quello che gli investitori pensano. I prezzi sono in calo costante dal picco di 4,5 dollari alla libbra toccato all’inizio del 2011 e, alla fine del 2015, si sono stabilizzati a 2,10 dollari. Questo collasso è stato accompagnato da opinioni diverse riguardo al futuro delle valutazioni. Gli ottimisti parlano di richiesta di prodotto di qualità sempre più bassa (e quindi meno costoso da estrarre), di una domanda solida (anche se in rallentamento) da parte della Cina e del bisogno di nuove miniere per coprire le necessità che verranno. I pessimisti, invece, citano i dubbi sulla capacità di Pechino di crescere come in passato, l’andamento deflattivo dei prezzi della materia prima e l’aumento del numero di miniere che stanno aprendo. In questo quadro le stime per il prezzo del rame vanno dai 2,25 ai 3 dollari alla libbra.
“Noi non siamo cosi ottimisti”, spiega Jeffrey Stafford, analista di Morningstar. “Noi prevediamo un prezzo di lungo termine di 2 dollari alla libbra e ci aspettiamo che il calo della domanda cinese – che pesa per circa la metà di quella globale – spinga le valutazioni al di sotto di questa soglia sia nel 2016 che nel 2017. Colpa soprattutto, del rallentamento nel processo di urbanizzazione che richiederà meno materiale per uso edilizio”. Secondo le stime di Morningstar il consumo di rame lavorato a livello globale raggiungerà i 23,9 milioni di tonnellate metro entro il 2020 rispetto ai 22,8 milioni di tonnellate metro del 2014. In altri termini si tratta di una crescita annuale dello 0,7% contro il 3,2% segnato nel decennio iniziato nel 2004. Dal 1970 al 2014 il consumo è salito a un ritmo del 2,6%.
Il ruolo del mattone
Ma il Regno di mezzo non è l’unico elemento che va tenuto in considerazione. Da tempo economie mature come l’Europa e il Giappone hanno tagliato il consumo di rame, soprattutto durante l’ultima crisi economica. “E’ importante sottolineare che il consumo di rame in queste aree era iniziato a calare anche prima della recessione”, dice l’analista. “Questo anche a causa della delocalizzazione che ha portato molte aziende dei paesi sviluppati a traferire le attività di produzione in paesi emergenti. Un’eccezione di rilievo è rappresentata dagli Stati Uniti dove il settore delle costruzioni pesa per circa la metà del consumo nazionale di rame. Secondo le stime di Morningstar in Usa il consumo di rame dovrebbe crescere a un tasso annuale del 4,1% fino al 2020 (rispetto a un calo del 2,1% visto dal 2004 al 2014), grazie a una ripresa dell’attività edilizia nel paese.
Meno rame è meglio
Da un punto di vista operativo il suggerimento di Stafford è quello di avere un’esposizione diretta al metallo molto bassa. “I fondi presenti nelle diverse categorie dedicate ai metalli, in questo senso sono una buona scelta”, dice l’analista. “L’analisi dei portafogli mostra che la presenza di rame è calata nel corso degli anni e oggi è decisamente molto bassa. Un ulteriore ribasso del prezzo non andrebbe a incidere in maniera significativa sui rendimenti”. La categoria dedicata all’equity metalli preziosi a febbraio ha guadagnato il 30,6%, piazzandosi al primo posto nella classifica delle migliori performance mensili delle categorie dell’area Emea. Subito dietro, con il +8,9% è arrivata l’Azionario risorse naturali. Il segmento dedicato agli Industrials and Broad metals, nello stesso periodo è salito di oltre il 4%.
Per chi preferisce orientarsi sulle azioni, il consiglio dell’analista è simile: evitare i titoli di società che operano esclusivamente con il rame. “Le società che gestiscono esclusivamente questo metallo, nonostante il calo delle quotazioni in Borsa, sono ancora decisamente sopravvalutate”, dice Stafford. “In una situazione di prezzo del rame a 2 dollari, non riuscirebbero ad avere flussi di cassa interessanti. “Meglio quindi scegliere nomi come Anglo American, che ha una buona esposizione al settore dei diamanti e Teck Resources, ben diversificata nel business energetico”.
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