L’accordo firmato da 196 paesi alla fine della COP21, la Conferenza sul clima tenutasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015, è stato descritto come “storico”. In effetti, far accettare un testo che cerchi di contenere l’aumento della temperatura globale sotto i due gradi nei prossimi cinque anni (e anche di continuare gli sforzi per non superare 1,5 gradi) è senza dubbio un successo diplomatico, soprattutto dopo la lunga serie di fallimenti che si sono succeduti lungo le edizioni precedenti. Tuttavia, è bene ricordare che si tratta di un accordo non vincolante (non ci sono sanzioni per gli Stati che non rispettano gli impegni) che dovrà essere ratificato dai vari parlamenti nazionali.
“È vero che ogni paese resta molto libero, ma penso che con questo accordo ci sia stato un vero cambiamento di paradigma, una reale presa di consapevolezza e forse questo è l'aspetto più importante”, ha commentato Ophélie Mortier, responsabile degli investimenti responsabili di Degroof Petercam. “Ci sarà sicuramente bisogno di una COP22 per proseguire su questa strada, che secondo me è la buona”.
Un mercato in crescita
Uno dei successi di questa edizione è quello di essere riusciti a mobilitare le imprese e gli investitori sul tema del cambiamento climatico. Da un punto di vista strettamente finanziario, infatti, gli investimenti socialmente responsabile stanno continuando a crescere: secondo l’ultimo studio a cura di Vigeo, in collaborazione con Morningstar, dal titolo Green, Social and Ethical Funds in Europe, al 30 giugno 2015 gli asset gestiti dai fondi Sri (Socially responsable investing) nel Vecchio continente sono saliti dell’8% in un anno, arrivando a quota 136 miliardi di euro (l’1,7% del patrimonio totale investito in fondi in Europa). Anche il numero di fondi “verdi” è salito del 26%, fino a 1.204 comparti disponibili. La Francia e i Paesi Bassi si confermano i mercati più attivi in questo senso.
Secondo i dati del centro di ricerca Novethic, inoltre, a fine ottobre, 960 investitori istituzionali di tutto il mondo si sono impegnati nella lotta contro il cambiamento climatico. Ad esempio, i firmatari dell’accordo Montreal Carbon Pledge, un testo lanciato nel settembre 2014 dalle Nazioni Unite che mira a incoraggiare gli investitori a misurare e a pubblicare ogni anno, a partire dal 2016, la carbon footprint (impronta di carbonio) del proprio portafoglio finanziario, sono più che raddoppiati da gennaio 2015 fino a raggiungere un centinaio a ottobre (l'impronta di carbonio è il totale delle emissioni di gas (CO2) dalle aziende presenti in portafoglio).
Non solo ambiente, la governance sempre più importante
Tuttavia, è bene sottolineare che quando si parla di Esg (Enviromental social governance) non si tratta solo di investimenti “verdi” o ambientali. La componente sociale e, soprattutto, di buon governo dell’azienda sta prendendo sempre più peso nelle scelte d’investimento. “Mentre nel 2015, la priorità era allontanarsi dalle attività a forte inquinamento, ci aspettiamo un cambiamento di direzione per il 2016: gli investitori guarderanno in particolare le ripercussioni a livello di governance delle nuove opportunità di investimento”, commenta in una nota Luisa Florez, responsabile della ricerca Esg di Axa Investment Managers.
“Secondo noi, infatti, se da un lato le emissioni di carbonio entreranno a far stabilmente parte dell’analisi fondamentale, dall’altro ci sarà una mobilitazione generale per delle norme di governance più strette”, prosegue Florez. “Il Financial Stability Board (FSB), ad esempio, incoraggia le imprese a rivelare i rischi climatici legati alla loro attività. Questo tipo di politiche aumenteranno la trasparenza per gli investitori e renderanno le valutazioni societarie più corrette. La decisione del FSB rende quindi queste misure più concrete”.
Un lavoro per stock pickers
“Sono sempre di più i gestori che prendono in considerazione le questioni ambientali, sociali e di governance nelle loro decisioni di investimento”, ha spiegato Mortier. “La decarbonizzazione di portafoglio è tra le tendenze più importanti, anche grazie alla nascita di diversi specifici indice a basse emissioni di carbonio. Detto questo, noi puntiamo più sulla selezione dei titoli: è infatti fondamentale distinguere tra le aziende che si trovano già in una posizione migliore per affrontare questi cambiamenti. In generale, nel settore del petrolio e del gas preferiamo le società europee, perché sono più esposte al gas, e siamo invece negativo sulle utility. Per quanto riguarda le società specializzate nel solare, si tratta spesso le imprese medio piccole, che devono essere trattate come tali”, ha concluso la strategist di Degroof Petercam.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.