I mercati emergenti hanno vissuto un 2015 molto difficile e il gruppo dei paesi BRIC, che racchiude le quattro principali economie in via di sviluppo (Brasile, Russia, India e Cina) non ha fatto eccezione. Il 2016 non è cominciato molto meglio, con l’indice Msci BRIC NR che ha lasciato per strada il 3,2% da inizio anno (in euro al 23 marzo 2016).
Con la Russia e il Brasile molto esposti alle fluttuazioni delle materie prime e tradizionalmente soggetti a un forte rischio geopolitico e la Cina, fin qui forza trainante del gruppo, che vive una fase di estrema volatilità legata a dei cambiamenti interni importanti, è l’altro gigante asiatico, l’India, che, malgrado le perdite registrate recentemente, sembra essere in grado di guardare al futuro con maggiore ottimismo. Almeno questa è l’opinione di Prashant Khemka, responsabile azionario mercati emergenti di Goldman Sachs Asset Management (GSAM).
“Quello che contraddistingue l’India dagli altri mercati emergenti è la prospettiva di un’accelerazione significativa della crescita degli utili aziendali nei prossimi anni”, ha spiegato il gestore nel corso di un’intervista rilasciata a Morningstar. “Il mercato è un meccanismo che si basa principalmente sulle attese sui flussi di cassa futuri ; dopo un paio d’anni deludenti, siamo consapevoli che in generale gli investitori non nutrono grandi aspettative verso le società indiane ed è proprio per questo che crediamo che ci sarà una reazione importante del mercato davanti a dei risultati aziendali sopra le aspettative”.
Attualmente, la Borsa di Mumbai viene scambiata a un rapporto prezzo / utili pari a 15, il che è più o meno in linea con la media storica. “Questa valutazioni possono comunque essere interessanti se ci si trova, come noi crediamo, all’inizio di un ciclo pluriennale di forte crescita degli utili”, ha continuato Khemka. “La situazione macroeconomica indiana è probabilmente la migliore tra tutti i paesi emergenti: le riforme attuate dal governo hanno migliorato il sentiment sull’economia”.
L’India ha anche beneficiato del forte calo del prezzo del petrolio, dato che il paese è uno dei più grandi importatori netti di greggio al mondo. “Questo ha aiutato fortmente ad abbassare il deficit corrente e l'inflazione”, ha commentato Patricia Oey, analista di Morningstar, in una recente nota.“Inoltre, a sua volta, ha permesso alla Reserve Bank of India di adottare una politica monetaria più accomodante per sostenere la crescita economica. Rispetto agli altri mercati emergenti, infatti, le prospettive macroeconomiche dell’India sono decisamente migliori. Il Fondo monetario internazionale stima un tasso di crescita del 7% per questo anno fiscale (da marzo 2015 a marzo 2016 Ndr)”.
“Senza dimenticare poi che l’economia agricola, che gioca un ruolo di primo piano nel paese, negli ultimi due anni è stata fortemente colpita da due stagioni dei monsoni molto negative”, ha spiegato Prashant Khemka. “Storicamente, però, questo non è praticamente mai ripetuto per tre anni consecutivi. Tutto ciò dovrebbe contribuire a una maggiore crescita del Prodotto interno lordo”.
“In generale, le valutazioni dei mercati emergenti non sono così basse come si potrebbe pensare, ma crediamo che in confronto ai mercati sviluppati ci sia più ‘alfa potenziale’ da ottenere attraverso la giusta selezione di titoli”, ha concluso il gestore.
Naturalmente, in questo tipo di asset class i rischi non mancano. Ogni segnale di una perdita di slancio nelle riforme o l’indebolimento del partito di governo, possono presentare un rischio per gli investitori. Infine, anche se l'economia indiana è meno orientata alle esportazioni rispetto a molti altri paesi in via di sviluppo, essa non è immune al rallentamento globale o a significative tensioni politiche in altri mercati emergenti, il che potrebbe alimentare la volatilità dei titoli azionari indiani.
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