Sono tempi difficili per la grande distribuzione. Soprattutto quella legata all’abbigliamento, condizionata da tendenze di moda che sembrano non convincere i consumatori, una situazione macro che non invoglia le famiglie a spendere e magazzini pieni di merce che spingono le aziende a una aggressiva politica di sconti. Tutti elementi che hanno condizionato il settore nel 2015 e che stanno guidando i bilanci in questa parte del 2016. “In mezzo a tutto questo, dal punto di vista operativo, si stanno creando delle buone opportunità di acquisto per gli investitori”, spiega Bridget Weishaar, analista di Morningstar. “L’elemento interessante è che le buy opportunity si trovano fra le società che hanno un vantaggio competitivo in grado di durare nel tempo e mostrano significative opportunità di crescita”. Il lavoro di ricerca dei titoli non è semplice. Quando si ragiona su idee di investimento di lungo periodo, uno degli elementi che dà indicazioni relativamente sicure sui flussi di cassa futuri è il vantaggio competitivo. Questo fattore, nel caso dell’abbigliamento, deve fare i conti con i gusti mutevoli delle persone e l’andamento del ciclo economico che incide sulla voglia di spendere. “Chi è stato in grado di costruirsi un vantaggio competitivo duraturo, tuttavia, è sempre riuscito a passare indenne attraverso queste burrasche”, dice Weishaar.
Il quadro macro
La situazione è particolarmente delicata negli Stati Uniti, dove il barometro della situazione macroeconomica non si decide a mettersi sul bel tempo. Le vendite nell’ultimo trimestre dell’anno scorso hanno registrato un incremento modesto (+0,8%) rispetto allo stesso periodo del 2014. I grandi magazzini hanno visto un calo del 2,3% del fatturato. Nei primi tre mesi del 2016, il vestiario ha visto una ripresa (+2%), mentre il fatturato dei department store è sceso ancora (-4%). “In generale, le società che copriamo con la nostra ricerca nel 2015 hanno visto una crescita più debole di quella che lasciava intuire il primo trimestre dell’anno. Una situazione che potremmo vedere anche nel 2016 e per i prossimi cinque anni”, dice l’analista di Morningstar. Fra i consumatori yankee, insomma, c’è poca voglia di aprire il portafoglio, anche alla luce degli ultimi dati macro. L’economia americana, infatti, ha rallentato nel primo trimestre del 2016, durante il quale il Pil è cresciuto dello 0,5%. Il dato preliminare è risultato sotto le attese degli analisti, che scommettevano su un +0,7%, e ha frenato dal +1,4% registrato negli ultimi tre mesi dello scorso anno. Se gli investimenti fatti nel settore immobiliare hanno contribuito con una solida crescita alla performance complessiva, la debolezza di quelli delle imprese e l'export - abbattuto dai corsi delle materie energetiche e dalla domanda estera in calo - hanno azzoppato la crescita.
Un portafoglio intimo
Ma come si coniuga questa situazione nebulosa con le possibilità di investimento? “L’importante è andare a scegliere la categoria merceologica giusta all’interno del settore abbigliamento”, dice Weishaar. “Ad esempio, i produttori di capi intimi sembrano avere un Economic moat che aziende di altri comparti fanno molta più fatica a raggiungere. Una volta che i consumatori si sono abituati a una certa marca di underwear, difficilmente la cambiano con un’altra”. Secondo un sondaggio condotto da Sourcing Journal, l’80% degli intervistati ne fa una mera scelta di comodità: una volta trovato il brand che fa la taglia che sembra stare meglio addosso, il consumatore si affeziona e non cambia (quasi) più. Il prezzo, a quel punto, diventa un elemento poco importante superato, appunto, dalla comodità e dalla qualità dei materiali. Nel mondo dell’abbigliamento in generale, invece, le cose sembrano funzionare in maniera diversa. Uno studio pubblicato ad aprile dalla società di analisi Prosper Insight ha mostrato che l’80% dei consumatori compra vestiti solo quando sono in saldo. Il 50%, invece, ha detto di fare scelte legate al singolo brand.
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