L’Italia non riesce a convincere del tutto gli investitori. I fondi raccolti nella categoria Morningstar dedicata all’azionario del Belpaese nell’ultimo mese (fino al 25 maggio) hanno perso (mediamente e in euro) lo 0,16%. Certo, le buone notizie non mancano, ma sono presenti anche alcune nubi che invitano gli operatori a mantenere una certa prudenza.
Nel primo trimestre, il Pil tricolore è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dell'1% nei confronti del primo trimestre 2015. Ma va aggiunto che, nel complesso, il Pil dei paesi dell'Area euro ha segnato una variazione positiva dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e dell'1,6% nel confronto con lo stesso periodo del 2015.
Il Fondo monetario internazionale, intanto, nella relazione stilata al termine della missione annuale in Italia, ha alzato all'1,1% (dall'1%) la stima di crescita dell'economia italiana nel 2016. Restano, comunque, i “rischi al ribasso” sull’economia del Belpaese. Il Prodotto interno lordo dovrebbe crescere di circa l’1,25% nel 2017-2018, mentre per il ritorno a livelli di produzione pre-crisi (2007) bisognerà aspettare metà del prossimo decennio ha detto il Fondo. Il governo ha indicato per quest'anno una crescita dell'1,2%, per il 2017 dell'1,4% e per il 2018 dell'1,5%. La stima di un +1,1% è in linea con quel che prevede la Commissione Ue.
Nel frattempo gli investitori fanno conti con quello che sanno. “A febbraio l'indicatore composito anticipatore dell’economia italiana ha segnato una battuta d'arresto, suggerendo un rallentamento nel ritmo di crescita dell'attività economica nel breve termine”, ha spiegato l’Istat nella nota mensile sull'andamento dell'economia rilevando, comunque, che “in un contesto europeo caratterizzato da una crescita significativa del Pil nel primo trimestre, l'economia italiana presenta segnali positivi associati al miglioramento della produzione industriale, al consolidamento dell'occupazione permanente, alla riduzione della disoccupazione e alla crescita del potere di acquisto delle famiglie”.
Il nodo delle banche
Tornando all’Fmi, uno dei punti deboli della Penisola, sono gli istituti di credito. “Andrebbe effettuata una valutazione sistematica della qualità dell'attivo di quelle banche che non sono già soggette alla valutazione globale della Bce, con azioni di follow-up in linea con i requisiti normativi. E’ importante che tale esercizio proceda con tempestività”, spiega l’Fmi nella sua relazione, dove ci sono comunque valutazioni positive, tuttavia, per il Fondo Atlante (nato per facilitare la gestione dei crediti deteriorati nelle banche). “Il recente intervento del settore privato a sostegno della ricapitalizzazione ha contributo alla stabilità finanziaria, offrendo una finestra di opportunità per promuovere con decisione le diverse misure proposte dalle autorità, al fine di garantire che il sistema bancario possa contare su basi più solide e che tali interventi non finiscano per pesare sulla redditività delle banche partecipanti”. Gli ispettori aggiungono che “le autorità di vigilanza dovrebbero garantire che gli investimenti futuri delle banche si basino unicamente su considerazioni commerciali. In generale, gli istituti di credito “dovrebbero essere tenuti a elaborare strategie integrate relativamente ai crediti deteriorati, impegnandosi a raggiungere obiettivi operativi per una marcata riduzione nel medio termine del volume di tali crediti (attraverso procedure di gestione interna più efficienti, esternalizzazione a provider esterni e vendite). Una più intensa attività di vigilanza della gestione interna delle banche a favore della risoluzione dei crediti deteriorati dovrebbe includere un'analisi periodica della situazione di tali crediti e un programma di monitoraggio in situ coordinato da esperti in materia di riscossione e gestione”.
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