La caccia all’oro e agli asset sottovalutati ha portato gli investitori europei fino in Sudafrica e in Namibia. Ma alla luce della situazione dell’oro giallo e dello scenario macro dei due paesi, è difficile che la permanenza degli operatori nell’area possa durare a lungo.
Nella classifica delle migliori categorie Morningstar europee a settembre, le prime tre posizioni sono occupate dai segmenti che raccolgono (nell’ordine) i bond diversificati in rand e in dollaro della Namibia (+8,8% in euro), gli strumenti dedicati alle small cap dei due paesi (+7,7%) e, in terza posizione, i fondi che investono nel mattone dei due stati (+6,9%). Scorrendo la classifica, tuttavia, salta all’occhio che la maggior parte delle prime 15 posizioni sono occupate dalle categorie che danno esposizione a un qualsiasi asset dei due paesi della parte sud del continente nero (nessun fondo appartenente a queste categorie è disponibile in Italia, Ndr). Per gli investitori si è trattato di un sistema per esporsi, almeno in maniera indiretta, all’oro attraverso due economie che dipendono molto da questo minerale.
Occhio alla Fed
La scelta, tuttavia, nel medio periodo potrebbe rivelarsi poco saggia. “La domanda di oro come bene di investimento diminuirà mano a mano che la Federal Reserve si avvicinerà al un rialzo dei tassi di interesse”, spiega Kristoffer Inton, analista di Morningstar. “La domanda di metallo giallo da parte della Cina potrà sostenere solo in parte le quotazioni. Poi bisognerà fare i conti con un calo di richiesta anche da parte del paese del Drago. I prezzi, secondo le nostre previsioni, dovrebbero calare di circa il 20% rispetto al 2014 (quando ha viaggiato intorno ai 1.300 dollari all’oncia, Ndr). Nel caso del Sudafrica ci sono da tenere in considerazione altri due elementi. “Le miniere del paese sono fra le più profonde e pericolose del mondo: i costi di gestione e di sicurezza stanno diventando così alti che prima o poi potrebbe non essere più conveniente tenerle in attività”, dice l’analista.
La seconda questione è di tipo macroeconomico. Nei tre mesi chiusi a giugno il Pil sudafricano è cresciuto del 3,3%, allontanando lo spettro della recessione. Nonostante questo, diversi indicatori macroeconomici (come il Pmi e la fiducia delle imprese) mostrano un peggioramento della situazione congiunturale che, unito a una situazione politica instabile potrebbe portare, fra le altre cose a un abbassamento del rating del paese (per le maggiori agenzie attualmente i bond sudafricani sono due gradini sopra il livello spazzatura). In Namibia la situazione è anche peggiore, con l’economia che nel secondo trimestre ha segnato una contrazione dell’1,2% a causa del rallentamento di settori come le costruzioni e le miniere.
Le categorie peggiori
Dal punto di vista dei fondamentali macro, sembra essere messa meglio la Thailandia. I fondi azionari specializzati sul paese, però, sono stati i peggiori nel mese scorso (-4,3%). Gli economisti si aspettano una crescita del Pil del 3,2% nel 2016 e del 3,3% nel 2017, grazie anche al contributo di alcuni piani del governo per migliorare la competitività e per investimenti in infrastrutture. Nel caso degli asset del paese asiatico, tuttavia, il ragionamento che hanno fatto gli investitori era legato alle valutazioni. I prezzi delle azioni thailandesi stanno crescendo ininterrottamente da due anni, anche se dovranno fare ancora un po’ di strada per recuperare il 22% circa che si sono lasciate per strada dai massimi toccati a maggio 2013.
Tornando in Africa stupisce meno il -3,8% fatto segnare a settembre dalla categoria di fondi che comprende l’intero continente più il Medio oriente. Gli ultimi dati congiunturali dicono che il Pil della macro area, dopo i minimi toccati nel primo quarter (finito sui livelli simili a quelli della crisi economica globale del 2008) stenta ancora. Nemmeno la leggera ripresa dei prezzi del petrolio è riuscita a dare una mano ai paesi che vivono di oro nero. A questo vanno aggiunte le severe misure di austerità introdotte da diversi governi per far fronte ai deficit di bilancio.
Il terzo posto fra le categorie peggiori del mese scorso porta nel Vecchio continente e, precisamente, in Portogallo (-3,4% per l’equity lusitano). Anche in questo caso la situazione macro non aiuta. Il paese è sotto la lente della Commissione europea che gli ha imposto di raggiungere un deficit del 2,5% rispetto al Pil nel 2016. La situazione macro, tuttavia, è debole: il calo degli investimenti (anche dall’estero, il basso tasso di competitività e la sottocapitalizzazione delle banche, secondo i commissari europei rischiano di pesare ancora a lungo sulle capacità di crescita del paese.
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