0,34% è il rendimento perso ogni anno dagli investitori europei nell'ultimo quinquennio per aver sbagliato il momento di ingresso e uscita dai fondi. A calcolarlo è Morningstar nel primo rapporto europeo “Mind the Gap 2016—Europe: the Effects of Behaviour on European Fund Investors’ Returns”, che segue una metodologia simile (ma non uguale) a uno degli studi più noti negli Stati Uniti, realizzato da Russel Kinnel (direttore della Manager research di Morningstar negli Usa) dal 2005.
L'analisi è stata svolta sulle principali asset class a lungo termine e a livello di singole categorie con orizzonte temporale di 5 anni (da agosto 2011 a luglio 2016), utilizzando la metodologia del Morningstar Investor return. Il concetto è semplice: confrontare il ritorno assoluto (total return), che è quello ottenuto comprando un prodotto il primo gennaio e tenendolo fino alla fine del periodo (ad esempio 31 dicembre), con il rendimento che si ha entrando e uscendo più volte nello stesso intervallo temporale (entrambi sono asset weighted, ossia ponderati per il patrimonio). Si giunge così al “behavior gap” (gap comportamentale).
Timing sbagliato
Il primo dato che balza agli occhi è che il timing è stato sbagliato in tutte le classi di attività (azionari, obbligazionari, bilanciati e alternativi). Il gap, tuttavia, è più evidente per gli alternativi (58 punti base): gli investitori hanno perso il 36% del rendimento totale annualizzato nel quinquennio. Nel caso dei bilanciati, il mancato guadagno è stato dell’8%, nel reddito fisso del 6% e nell’azionario del 5%.
Se scendiamo più nel dettaglio, il gap comportamentale è più ampio per i fondi concentrati e più rischiosi, come ad esempio i settoriali o quelli sui mercati emergenti, ma anche i comparti che seguono strategie simili agli hedge fund. Come spiega Matias Möttölä, autore del report, la deviazione standard (misura della volatilità di un fondo, Ndr) e il return gap sembrano essere correlati: al crescere dell’una aumenta anche l’altro. Questo è vero soprattutto per gli azionari e gli alternativi, ma non per i bilanciati.
I fondi di allocation si distinguono anche in relazione al fattore dimensionale. Il divario tra total e investor return è minore per i comparti più grandi. Ciò è in parte vero anche per gli azionari, ma non per gli alternativi.
L’eccezione dei fondi indicizzati
Gli investitori, dunque, sbagliano sempre? Non quando acquistano i fondi azionari indicizzati. Il gap, in questo caso, è a favore dei sottoscrittori di 37 punti base, mentre per gli attivi la differenza è a sfavore dello 0,48%. “E’ difficile dire esattamente cosa provochi questo divario”, afferma Möttölä. “Una possibile spiegazione è che i fondi indicizzati siano usati tipicamente come strumenti di lungo termine, nella parte centrale del portafoglio, mentre in non-index includono prodotti specializzati, nei quali gli investitori tendono ad entrare e uscire. E’ anche ipotizzabile che gli Exchange-traded fund (Etf) siano utilizzati più come strumenti di breve termine. Infine, può accadere che i consulenti, che ottengono commissioni più alte dai fondi attivi, abbiano un incentivo a proporre transazioni più frequenti”.
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