Il braccio corto dei paesi sviluppati fa bene agli emergenti. E’ merito della scarsità di rendimenti in zone come gli Stati Uniti e l’Europa se gli investitori che hanno puntato sulle aree in via di sviluppo in questa parte del 2016 sono riusciti a levarsi qualche soddisfazione. E, se le previsioni saranno confermate, potranno farlo anche l’anno prossimo.
Indicazioni incoraggianti, in questo senso sono arrivate dal Fondo monetario internazionale che, nell’ultimo rapporto sull’andamento dell’economia globale, hanno sì limato le stime sulla crescita globale portandole al 3,1% per quest’anno e al 3,4% per il 2017, aggiungendo però che la spinta maggiore arriverà dalle zone emergenti. Nel frattempo gli operatori gongolano: l’indice Morningstar EM nell’ultimo mese (fino al primo novembre e calcolato in euro) ha guadagnato l’1,8%, portando a +13,6% la performance da inizio anno.
L'indice Morningstar Emerging Market da inizio anno
Dati in euro aggiornati all'1 novembre 2016
Fonte: Morningstar Direct
I fondamentali non c’entrano
Il buon momento dell’asset class è confermato anche dall’andamento delle categorie Morningstar dedicate ai fondi che investono in singoli paesi o regioni come il Brasile (+75,35% da inizio anno) o l’Europa emergente (+19%). In alcuni casi la situazione è paradossale. Aree come il Latam (+38%) avrebbero dovuto pagare la sostanziale debolezza delle commodity di cui sono fra le principali esportatrici. “Il punto è che il rally del 2016 degli emerging market non è alimentato dai fondamentali di queste zone”, spiega Patricia Oey, fund analyst di Morningstar. “Gli investitori stanno cercando rendimenti nei mercati che hanno sottoperformato negli anni scorsi”. Generalizzare, tuttavia, sarebbe un errore. La debolezza delle materie prime, ad esempio, sta pesando sulle prospettive economiche dell’Africa sub-sahariana. L’Fmi, per la Nigeria prevede una contrazione dell’1,8%, mentre per il Sudafrica stima un’espansione minima. L’America latina da, parte sua, può contare sulla performance del Brasile, un paese che sta cercando faticosamente di uscire dalla recessione e da una serie di scandali politici e che, secondo le analisi di Morningstar, in termini di asset, rappresenta più della metà delle holding nei portafogli dedicati all’intera regione.
Occhio ai rischi
Nonostante le performance i mercati emergenti restano un segmento per chi ha i nervi saldi. Soprattutto quando si considerano i rischi geopolitici. La Turchia, ad esempio (che ha un peso importante negli indici dedicati agli emerging), alla fine del mese scorso ha tirato il freno, appesantendo tutti i panieri, dopo che l’agenzia di rating Moody’s ha portato il merito di credito sulle obbligazioni governative del paese al livello di junk (spazzatura). Il downgrade è stato il frutto del deterioramento politico seguito al tentativo di golpe di metà luglio che ha fatto scappare parecchi investitori internazionali. Il risultato è stato un calo dell’equity turco, un aumento dei rendimenti dei bond e un deprezzamento della valuta (la lira).
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