Unicredit, Morningstar non cambia il fair value

Il piano industriale presentato dall’istituto, secondo gli analisti, è appropriato e affronta questioni chiave, tra cui la riduzione dei costi, i debiti inesigibili e la ricapitalizzazione. 

Stephen Ellis 14/12/2016 | 16:46
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Il tanto atteso piano industriale di Unicredit per il periodo 2016-2019 affronta molte delle questioni chiave riguardo ai costi, ai prestiti inesigibili (Non performing loan o Npl) e al capitale. Tutti elementi che in passato ci avevano preoccupato. L’aumento di capitale da 13 miliardi di euro è atteso per gennaio. Pensiamo di non fare aggiustamenti per quanto riguarda il Moat (attualmente per noi è assente) sul titolo della banca e potremmo aggiustare le nostre stime di fair value (attualmente a 3,50 euro) quando i dettagli saranno più chiari. Ma potremmo anche non fare cambiamenti, visto che il nostro modello di analisi prendeva comunque in considerazione un aumento e cessioni di asset che avrebbero dovuto far fronte a un fabbisogno di capitale da 15 miliardi.

Gli effetti sul sistema bancario
Quasi tutti gli aspetti chiave del piano Unicredit rispettano le nostre previsioni in termini di riduzione del personale, aumento di capitale, chiusure di filiali, obbiettivi del rapporto fra costi e ricavi e utilizzo di forme alternative di finanziamento. Il piano conforta anche la nostra previsione secondo cui il 2016 dovrebbe essere stato l’anno peggiore per i non performing loan, anche perché questa voce del bilancio Unicredit si ridurrà della metà nei prossimi anni. Ci sembra raggiungibile l’obiettivo di portare il return on equity (una misura della profittabilità, Ndt) intorno al 9% nel 2019. L’istituto ritiene che l’economia italiana difficilmente si riprenderà in modo significativo, quindi i miglioramenti dovranno venire dalla stessa banca. Il maggior rischio che vediamo è legato a una cessione dei Npl che possa prendere più tempo di quello stimato a causa di un indebolimento congiunturale e della mancanza di riforme politiche. Questi elementi sposterebbero il raggiungimento dell’obiettivo del 9% all’inizio del decennio che comincerà col 2020.

I numeri
Il piano, chiamato “Trasform 2019” affronta le questioni relative ai crediti, ai costi e al capitale.  Prevede ulteriori 6.500 esuberi entro il 2019, per una riduzione totale netta del personale di circa 14mila unità. Unicredit ha siglato poi due accordi separati, uno con Pimco e l'altro con Fortress, per il trasferimento di due portafogli di Npl a veicoli indipendenti di cui la stessa Unicredit manterrà una quota di minoranza. Complessivamente saranno trasferiti crediti deteriorati per 17,7 miliardi. La chiusura dell'operazione è prevista entro il primo semestre 2017. L’istituto punta a ridurre il portafoglio di crediti deteriorati non-core con un obiettivo di esposizione netta di 8,1 miliardi entro il 2019 dai 15,8 miliardi di fine settembre. Il risultato di tutte queste operazioni dovrebbe essere una riduzione dei costi a 10,6 miliardi (da 12,2 miliardi) entro il 2019 portando il rapporto costi/ricavi al 52%. Un rapporto che consideriamo corretto e in linea con le nostre attese.

L’aumento di capitale da 13 miliardi è appropriato, soprattutto se unito ai 6,2 miliardi raccolti dalla vendita di Pioneer (la società di asset management) e dalla cessione della partecipazione nella banca polacca Pekao. I prezzi ottenuti per entrambi gli asset sono stati buoni, soprattutto se si considera la posizione di svantaggio di Unicredit ai tavoli delle trattative. Le due cessioni aumenteranno il Tier 1 di 164 punti base, mentre l’aumento di capitale porterà la stessa voce al 12,5% nel 2019.

La nota è stata redatta da Stephen Ellis il 13 dicembre 2016.

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Stephen Ellis  Stephen Ellis is a senior stock analyst on the Energy Team.

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