I mercati emergenti sembrano avere tutta l’intenzione di lasciare al palo quelli sviluppati. L’indice Msci dedicato ai mercati developed nella settimana chiusa il 16 gennaio ha segnato -0,15% (in euro) contro il +1,17% segnato dal paniere dedicato ai paesi in via di sviluppo. A dodici mesi, il punteggio è di +1,35% a +2,80%. “Sta proseguendo il trend iniziato nel 2016 e che ha segnato un punto di svolta rispetto al 2015, quando i mercati emergenti erano stati penalizzati dalla ricerca di rendimento nelle zone sviluppate e dalla debolezza del prezzo delle commodity”, spiega Dan Lefkovitz, responsabile dell’analisi sugli indici Morningstar.
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Grazie all’Asia
A dare forza e tono al benchmark dedicato alle aree in via di sviluppo, a livello geografico è la componente relativa all’Asia emerging (la più pesante nel paniere con il suo 41,7%) che ha contribuito con una performance positiva dello 0,51%. Merito, in buona parte, del ritrovato stato di salute della Cina per la quale il consensus degli economisti prevede, nel 2017, una crescita economica del 6,5% (in linea con quella che le proiezioni indicano essere stata quella del 2016 e con le previsioni di Pechino). Un contributo all’andamento del listino lo hanno dato l’Africa (+0,17%) e il Latam (+0,16%) per merito della ripresa del prezzo delle commodity di cui le due zone sono esportatrici. Quasi nullo, invece, l’apporto di Europa emergente (che pesa per il 7% sulla composizione dell’indice) e del Medio oriente (2% del peso totale).
Pesano gli Usa
Per quanto riguarda il listino dedicato ai paesi sviluppati, hanno pesato soprattutto le prese di profitto che si sono registrate negli Stati Uniti dopo la corsa all’equity dell’anno scorso alimentata, sul finire del 2016, dall’elezione a sorpresa dell’outsider Donald Trump sul cui mandato ora molti sono pronti a scommettere in termini di ripresa economica. Gli Usa pesano per il 58,2% sulla composizione del paniere developed e in una settimana sono scesi dello 0,26%. In questa situazione, la sostanziale tenuta di altre aree sviluppate come l’Eurozona e il Giappone (che rappresentano, rispettivamente, l’11% e il 10% del benchmark) non è servita a spingere il paniere.
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