La decisione della Banca centrale Usa di stabilizzare la politica monetaria ha fatto salire non solo la curva dei rendimenti dei Treasury bond, ma anche quella delle emissioni governative del Vecchio continente, riducendo complessivamente il differenziale tra il segmento dei titoli di stato e quello delle obbligazioni societarie. Negli Stati Uniti l’effetto è stato meno evidente. Merito della crescita della domanda dei corporate bond che ha in qualche modo bilanciato lo spostamento verso l’alto della yield curve.
Spread in miglioramento
Tra i settori che negli ultimi mesi hanno registrato la più alta contrazione dello spread ci sono: energy, materie prime e telecom. Il differenziale dei corporate bond delle compagnie energetiche ha toccato i massimi a inizio 2016, quando il prezzo del greggio ha sforato i minimi storici arrivando a quota 26 dollari al barile. Da allora le quotazioni dell’oro nero si sono riportate sopra i 50 dollari e il gap di rendimento con i Treasury bond è sceso attorno ai 150 punti base.
Gli analisti si aspettano che il miglioramento dei fondamentali delle aziende del settore, e in particolare delle compagnie petrolifere integrate (che operano nel segmento della produzione e della raffinazione del greggio) e delle aziende nel segmento midstream (trasporto e stoccaggio di idrocarburi), contribuirà ad un ulteriore assottigliamento dello spread.
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Importanti segnali di miglioramento arrivano anche dal comparto delle materie prime, il cui differenziale ha evidenziato una forte volatilità negli ultimi due anni. Anche in questo caso il trend ribassista dello spread è causato dalla stabilizzazione del prezzo delle commodity. I movimenti maggiori si sono registrati nel segmento dei beni per la manifattura: a cavallo tra il 2015 e il 2016 molte società attive nell’industria delle commodity come ArcelorMittal hanno subito un downgrade del loro merito creditizio, ma la ripresa delle quotazioni del ferro, dell’acciaio e del rame negli ultimi mesi ha contribuito a migliorare il loro profilo creditizio. Lo spread del segmento agricolo è rimasto stabile. Il deterioramento del prezzo dei beni, infatti, è stato compensato dal consolidamento delle aziende del settore. Inoltre le fusioni di grossi gruppi come quella tra Dow Chemical e DuPont e tra Monsanto e Bayer promettono di migliorare i margini di profitto senza pesare sul grado di indebitamento.
Il consolidamento fa bena anche alle società dei media. Negli ultimi due anni lo spread del settore ha sforato quota 250 punti base a causa del forte aumento dell’indebitamento delle aziende e del peggioramento dei loro conti, danneggiati dallo spostamento delle preferenze dei consumatori verso canali diversi come quello online e dal calo degli introiti pubblicitari. Tuttavia le recenti operazioni di M&A e la maggiore attenzione al controllo dei costi hanno contribuito a ridurre il differenziale di circa 50 punti base.
Buone notizie per il settore manifatturiero
Trend positivo anche per il settore tecnologico, il cui spread negli ultimi 12 mesi si è portato attorno ai 100 punti base (20 bp più basso della media). Merito della crescita del fatturato e dei margini di profitto da parte delle soceità nei segmenti software e semiconduttori. Nei prossimi mesi, tuttavia, gli analisti si aspettano una maggior volatilità del differenziale a causa di nuove operazioni di M&A e delle incertezze legate alle politiche commerciali e sull’immigrazione della nuova amministrazione Trump. Le aziende del comparto, infatti, utilizzano fli stabilimenti in Cina e nel Sud-est asiatico per la manifattura dei loro dispositivi elettronici e la revisione degli accordi sul libero scambio potrebbe impattare negativamente sui margini di profitto.
Il comparto manifatturiero presenta uno degli spread più bassi, attorno ai 100 punti basi, ma ci sono delle variabili che potrebbero giocare a favore di un ulteriore assottigliamento del differenziale di rendimento di queste emissioni societarie. La risalita dei tassi di interesse contribuirà a ridurre il peso dell’indebitamento societario legato agli impegni pensionistici, mentre la riforma fiscale promessa dal nuovo Presidente degli Usa prevede un alleggerimento delle aliquote e ulteriori benefici per le società che riportano in patria le loro attività.
Nubi in vista per healthcare e consumer defensive
La contrazione dello spread del settore healthcare è stata una delle più basse tra quelle registrate negli ultimi mesi. Tuttavia, quello che preoccupa gli analisti è il peggioramento del merito creditizio delle aziende del comparto. La revisione della riforma sanitaria di Obama, promessa dal nuovo inquilino della Casa Bianca, non dovrebbe danneggiare i conti aziendali, mentre il vero pericolo è rappresentato dalle promesse elettorali dei repubblicani di voler calmierare il prezzo dei farmaci. Questo infatti potrebbe danneggiare i margini di profitto e ridurre i flussi di cassa delle società farmaceutiche. Inoltre, tale circostanza potrebbe indurre gli operatori del settore a finanziare nuove operazioni di M&A che rischierebbero di danneggiare ulteriormente la solidità finanziaria.
Lo scenario del settore beni dei consumo è più complicato. Da una parte, il segmento consumer cyclical sta attraversando un periodo molto positivo, nel quale il miglioramento dell’occupazione negli Usa e l’aumento della spesa in viaggi e divertimento da parte dei consumatori continuano a spingere i conti aziendali. Questo ha prodotto l’assottigliamento dello spread nei confronti dei Treasury bond e numerosi upgrade nel merito creditizio di molte società del comparto. Dall’altra, i consumer defensive, stanno soffrendo la bassa crescita dell’economia mondiale. La debole congiuntura pesa sui conti aziendali e spinge le società a finanziare operazioni di fusione e acquisizione che rischiano di peggiorare ulteriormente il loro grado di indebitamento.
Buone notizie arrivano dal settore finanza, il cui differenziale è sceso ulteriormente negli ultimi anni portandosi sotto i 150 bp e in linea con la media. Le prospettive per le aziende del comparto sono positive, specie per quelle statunitensi che beneficeranno dell’aumento dei tassi di interesse. I rischi maggiori sembrano invece riguardare le banche del Vecchio continente, che dovranno fare i conti con le incertezze legate all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea e alla forte esposizione del loro portafoglio crediti all’industria energetica, i cui risultati sono soggetti alle fluttuazioni del prezzo delle commodity.
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