Nel 2016, gli investitori in fondi a livello mondiale hanno scelto le attività finanziarie meno rischiose, in un contesto reso incerto dagli eventi politici e da una crescita che rimane debole. Secondo il Morningstar global asset flow report, la raccolta globale è stata pari a 728 miliardi di dollari, in calo rispetto ai mille miliardi del 2015 e, a differenza dai precedenti due anni, i flussi si sono diretti soprattutto verso i fondi obbligazionari (+412 miliardi) e monetari (196 miliardi) a discapito degli azionari (-33 miliardi), nonostante il positivo andamento delle Borse (tutti i dati includono fondi ed Etf).
Rifugio d’oro
Il clima di incertezza ha portato molti investitori a cercare rifugio nei prodotti specializzati sui metalli preziosi, in particolare l’oro. La categoria Commodity, infatti, ha registrato il più alto tasso di crescita nel 2016: l’organic growth rate, che misura i flussi in percentuale degli asset iniziali, è stato del 25,7%. E’ significativo anche l’incremento del reddito fisso (+6,9%), considerato che questa attività finanziaria è in una fase di maturità del suo ciclo di sviluppo, avendo un patrimonio globale di oltre 6.600 miliardi, secondo solo agli azionari.
Differenze regionali
I dati generali, tuttavia, celano particolarità locali. Ad esempio, in Asia e in Canada la raccolta dei prodotti specializzati sulle Borse è stata positiva, a differenza delle altre regioni. Bilanciati ed alternativi sono, invece, tra i preferiti in Europa e i fondi immobiliari negli Stati Uniti.
A livello geografico, l’industria mondiale dei fondi si è mossa a più velocità. I “giovani” mercati emergenti (Asia, Africa e America latina) hanno segnato i tassi di crescita maggiori. Gli Stati Uniti hanno attratto più flussi rispetto al 2015 (288 contro 260 miliardi di dollari), mentre l’Europa ha visto ridursi la raccolta netta (da 184 a 103 miliardi). Ancora più significativa (da 314 a 138) è stata la contrazione per i fondi cross-border, ossia quelli domiciliati nei cosiddetti paradisi fiscali, principalmente il Lussemburgo e l’Irlanda, che hanno il Vecchio continente e l’Asia come maggiori mercati di sbocco.
L’ascesa dei fondi indicizzati
Al di là delle differenze nell’asset allocation, un fenomeno che si sta propagando dall’America al resto del mondo è quello delle strategie indicizzate. Gli investitori a stelle e strisce hanno fatto fluire circa 500 miliardi negli index fund, a discapito dell’approccio attivo da cui sono usciti 204 miliardi. Nelle altre regioni, lo sviluppo del cosiddetto low cost investing è più lento, ma continua. Se i comparti azionari sono i più interessati dal fenomeno, anche il segmento obbligazionario è stato contagiato. Per contro, sono solo marginalmente coinvolti i bilanciati e gli alternativi, tra i quali la gestione attiva può fare la differenza e l’offerta di Etf e indicizzati è limitata.
Vanguard batte tutti
Protagonista e principale beneficiario di questo trend è Vanguard, leader globale nell’approccio passivo a basso costo, che in un anno ha raccolto oltre 300 miliardi di dollari, più dell’intera industria nel suo complesso. BlackRock e la controllata iShares si sono collocate al secondo posto con flussi netti per 154 miliardi, grazie soprattutto alla gamma di prodotti indicizzati.
Tra gli altri big mondiali del risparmio gestito, State Street, anch’essa focalizzata sulle strategie passive, ha migliorato la sua posizione rispetto al 2015. Nel segmento degli active manager, Goldman Sachs è stata la società di gestione che ha raccolto di più, mentre Franklin Templeton ha subito i più alti deflussi netti.
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