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Ribilanciare sì, ma con prudenza

Gli errori da evitare e le trappole da scansare quando si decide di mettere ordine nel proprio portafoglio. 

Marco Caprotti 23/03/2017 | 09:41
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Il portafoglio va ribilanciato una volta all’anno. Anzi no, meglio fare più aggiustamenti nel corso dei 12 mesi. “In realtà non esiste una regola precisa su quando è meglio rimettere mano ai propri investimenti”, spiega Richard Whitehall, portfolio manager di Morningstar Investment Management (MIM). “Un portafoglio va considerato in maniera olistica e bisogna assicurarsi che sia posizionato in maniera tale da raggiungere i propri obiettivi finanziari di lungo termine. Di sicuro, la corsa fatta dai mercati finanziari nell’ultimo anno suggerisce di andare vedere che cosa si possiede e se non sia il caso di aggiustare la composizione degli asset”. L’indice Morningstar World in 12 mesi (fino al 14 marzo e calcolato in euro) ha guadagnato quasi il 22% e ci sono attivi, come i tecnologici e alcuni emergenti, che hanno fatto segnare progressi fra il 40% e il 50%.

Indice Morningstar World: 1 anno
world

Dati in euro aggiornati al 14 marzo 2017
Fonte: Morningstar Direct

Ma come si deve procedere quando si vuole rimettere a posto il portafoglio? “Non esistono studi affidabili sulla questione”, risponde Dan Kemp, responsabile degli investimenti di MIM, secondo cui però si possono seguire alcune linee di base. “L’elemento chiave di un portafoglio diversificato è che i prezzi degli asset che contiene si muovono in direzioni differenti, soprattutto quando si tratta di titoli che hanno una correlazione negativa, come ad esempio equity e bond. Questo è un elemento che aiuta a ridurre la volatilità, anche se ha il difetto di ridurre l’esposizione a quelle che consideriamo le nostre migliori idee di investimento”.

La trappola del valore
Ci sono, poi, altre questioni da considerare. Cosa fare se si è acquistato un titolo nel quale si credeva e che in poco tempo è sceso, ad esempio, del 40%? La regola generale, soprattutto per un investitore di tipo value, è che bisogna approfittare delle fasi di debolezza per acquistarne ancora, a maggior ragione se si crede nelle potenzialità di lungo periodo dell’emittente. “Il problema, in questo caso, diventa quello della tempistica”, dice Kemp. “Spesso si entra o si rientra in un investimento troppo presto e si rischia di doverselo tenere a valutazioni depresse. A quel punto conviene chiedersi se sia veramente un titolo che ci serve. Se la risposta è negativa, meglio accettare la perdita e passare ad altro”.  Abbandonare un investimento che non dà profitto è il sistema più sicuro per evitare la cosiddetta value trap (trappola del valore, quando una valutazione troppo bassa convince che l’investimento sia buono e abbia solo bisogno di tempo per esprimersi).

Relazione prezzo/fair value e le value trap
mim

 

 

Lo sanno bene quelli che negli anni ’90 hanno sottovalutato l’avvento delle fotocamere digitali e non si sono accorti che Kodak non teneva il passo con quella rivoluzione della fotografia. “Chi ha comprato il titolo a prezzi da saldo nel 1997, 1999 o 2001 si è trovato un una classica value trap”, dice Kemp.

Scansare le trappole
Ma come si fa a individuare uno di questi trabocchetti? “Ogni business fa storia a sé, ma ci sono alcuni elementi comuni che possono aiutare a individuare una value trap”, risponde il Cio di MIM. “Il più evidente è il livello del debito. Spesso una società ha un prezzo molto basso perché ha un alto livello di deficit”. Un altro fattore è la gestione dei flussi di cassa. “In questo caso può venire in soccorso l’analisi fondamentale”, spiega Kemp. “Se il management di un’azienda decide di fare investimenti onerosi senza avere a disposizione un adeguato cash flow, c’è il rischio che stia distruggendo il valore del business”. Bisogna poi tenere conto degli elementi strutturali. “Un’azienda o un settore possono trovarsi a non saper gestire fattori come l’invecchiamento della popolazione, il declino di una attività o i cambiamenti in ambito tecnologico”, dice Kemp.

Non vanno dimenticate le questioni studiate anche dalla finanza comportamentale. Spesso, infatti, gli investitori tendono a sovrastimare le potenzialità di un investimento nel quale credono e a sottovalutare le cattive notizie che riguardano quell’asset. “Questo è dovuto a un eccesso di sicurezza nelle proprie capacità di valutazione e ha a che fare con la ricerca di conferme alle nostre decisioni di acquisto”, dice Kemp. “Ci sono poi gli operatori impazienti, che incrementano le posizioni in maniera aggressiva nelle prime fasi di una discesa del titolo e perdono fiducia quando il prezzo arriva ai minimi, vendono e rendono permanente la perdita di capitale. Questo è il caso peggiore”. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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