Per i fondi europei specializzati in obbligazioni emergenti in valuta forte, i primi cinque mesi dell’anno sono stati decisamente positivi in termini di raccolta. Morningstar ha stimato flussi netti per quasi 9 miliardi di euro contro i 2,9 miliardi dell’intero 2016. Un quadro macro in miglioramento e rendimenti attraenti hanno spinto gli investitori a tornare verso questa asset class, dopo che ne erano usciti nel 2015, quando i riscatti netti erano stati di 3,2 miliardi.
I bond battono le azioni
Le statistiche rivelano anche un'altra tendenza nella prima parte del 2017: la preferenza per il reddito fisso rispetto alle azioni delle società che operano sui mercati emergenti. Da gennaio, i fondi equity hanno registrato flussi netti pari a 3,8 miliardi, con alcuni mesi negativi (gennaio e aprile). Questi comparti escono da un 2016 decisamente positivo, con una raccolta netta che ha toccato i 10,6 miliardi, i migliori dodici mesi dal 2013. Gli investitori sono stati remunerati per la loro scelta, dato che l’indice Morningstar Emerging market ha battuto quello globale nell’ultimo anno e mezzo (vedi grafico).
La preferenza del debito sulle azioni emergenti fa sì che, almeno nella prima parte dell’anno, il 2017 sia stato diverso dal periodo che va dalla crisi finanziaria al 2014. I fondi specializzati sulle Borse dei paesi in via di sviluppo hanno conosciuto fasi di grande popolarità come il 2010 e il 2012, mentre i comparti con focus sul reddito fisso sono stati più sensibili alle dinamiche di Stati Uniti ed Europa.
Un anno terribile
Ha una dinamica tutta sua il 2015, perché gli investitori sono usciti sia dai titoli rappresentativi del capitale di rischio sia dalle obbligazioni emergenti. La causa va ricercata in una concentrazione di eventi avversi, tra cui la discesa del prezzo delle materie prime, la congiuntura cinese e le prospettive di un rialzo dei tassi negli Stati Uniti.
Valutazioni meno attraenti
Diverse ragioni possono spiegare i minori flussi verso i fondi azionari nei primi cinque mesi dell’anno, tra cui la riduzione dei potenziali margini di apprezzamento dopo i rialzi dell’anno scorso. Le valutazioni sono vicine alla media sia in termini assoluti sia rispetto ai mercati globali, spiegano gli analisti di Morningstar, anche se ci sono ancora aree che riservano opportunità interessanti per i gestori attivi, data l’eterogeneità di questi paesi, come ad esempio l’Europa orientale.
I fattori di rischio
Gli investitori europei che hanno acquistato i fondi obbligazionari in valuta forte a gennaio di quest’anno si trovano ora con una performance media negativa dell’1,1% (in euro a fine giugno), cui contribuisce l’indebolimento del dollaro nei confronti della moneta unica (nello stesso periodo il rendimento medio in divisa statunitense è del 6,9%). In prospettiva, esistono alcuni fattori di rischio da tenere sotto osservazione. “La qualità del credito delle emissioni in hard currency si è deteriorato in modo significativo dal 2013”, si legge in una nota di VanEck. “Più del 51% dei titoli dell’indice JPM Embi global diversified ha un rating high yield o junk (spazzatura) al 31 maggio 2017 contro il 34% di fine 2013. Questo significa che gli investitori stanno incorporando un maggior rischio di credito nei loro portafogli. Inoltre, siccome i differenziali (spread) rispetto ai titoli sicuri si sono ristretti, sono remunerati meno per un più alto pericolo”. Sono queste le ragioni che fanno preferire a molti gestori il debito in valuta locale o i titoli con più alto rating.
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