Chi non si adatta muore. Uno dei principi darwiniani di sopravvivenza della specie riguarda anche l’industria dei fondi di investimento, ora che sta per finire il countdown per l’introduzione (a gennaio 2018) della direttiva MiFID II (che, riprendendo i principi della prima versione della normativa, obbliga gli operatori finanziari ad agire sempre di più nell’interesse del cliente finale). Una delle specie a rischio, in questo senso, è quella dei fondi attivi, accusati di essere troppo cari a fronte di risultati spesso poco soddisfacenti. “Il ciclo vita-morte ha sempre interessato i fondi gestiti attivamente, ma questa volta ci sono elementi nuovi che possono risultare letali per le società più vulnerabili”, spiega Jeffrey Ptak, responsabile globale della ricerca di Morningstar. “Fra questi ci sono lo spostamento verso l’automazione, le pressioni nei confronti dei distributori perché facciano sempre di più l’interesse dei loro clienti e la preferenza di questi ultimi per i prodotti a basso costo”.
L’Europa non si ferma
La strada verso la trasformazione, insomma, è segnata e anche i legislatori europei sembrano avere bene in mente quale sia la direzione da prendere. Nell’ultimo Mid-Term Review of the Capital Markets Union Action Plan (il documento che amplia il programma lanciato a dicembre 2016 congiuntamente dall’Unione europea, dal Consiglio Europeo e dalla Commissione europea per arrivare, dopo anni di discussioni, alla creazione dell’Unione dei mercati di capitali) uno dei punti affrontati riguarda il coinvolgimento degli investitori retail nei mercati di capitali, che viene definito scarso. “Le famiglie dell’Ue sono le maggiori risparmiatrici del mondo, ma la maggior parte di questi risparmi è ferma in strumenti bancari a breve scadenza”, recita il documento in uno dei punti affrontati. “Maggiori investimenti nei mercati di capitali possono aiutare ad affrontare le sfide poste dall’invecchiamento della popolazione e dai bassi tassi di interesse”. Questo tuttavia non accadrà, continua il report, “fino a quando gli investitori non avranno accesso a proposte di investimento interessanti fatte in termini competitivi e trasparenti”.
Dove va il mercato
Indicazioni che arrivano da altre parti del mondo mostrano però che il mercato ha già iniziato a muoversi contro la gestione attiva. Un esempio viene dagli Stati Uniti dove i fondi attivi, a fine maggio 2017, secondo i dati Morningstar rappresentavano il 63% del mercato open-end e Etf. Solo tre anni prima erano il 72%. “Alla luce delle trasformazioni nel mercato, accelerate dalle normative e dal cambiamento delle preferenze degli investitori, non è irragionevole pensare che il segmento passivo si prenderà un altro 10% della torta nel prossimo decennio”, dice Ptak.
Accadrà anche in Europa? “Solide fondamenta sono state poste per sostenere proposte a livello europeo sulla distribuzione cross-border dei fondi di investimento (un elemento, questo, che può contribuire ad abbassare i costi, Ndr)”, dice il Mid-Term Review. Per i fondi attivi, quindi, sembrano non esserci molte scelte. “Devono tagliare i costi”, dice Ptak. “E prendere misure per condividere le economie di scala con i loro investitori”.
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