Se fino a qualche tempo fa il dibattito era incentrato sulla contrapposizione tra strategie attive e passive; ora i termini sono cambiati. Il tema centrale, anche in vista dell’attuazione della direttiva comunitaria MIFID II, è la riduzione dei costi degli investimenti.
Negli Stati Uniti, i soli fondi attivi che hanno generato flussi positivi nel 2016 sono stati quelli meno costosi. In Europa, è molto più difficile trovare prodotti di questo tipo con commissioni competitive. Inoltre, ci sono i cosiddetti closet tracker, che sono gestiti seguendo quasi fedelmente l’indice, ma hanno le fee di una gestione attiva. Uno studio realizzato l’anno scorso da Morningstar, mostra che nel 2016 gli investitori europei in fondi hanno pagato circa 61 miliardi in spese correnti annuali, contro i 53 miliardi del 2013. L’incremento è dovuto al fatto che il patrimonio gestito è aumentato più di quanto siano diminuite le ongoing charge nel periodo considerato.
In percentuale rispetto al patrimonio, le spese sono scese in Europa tra il 2013 e il 2016, ma non in tutti i Paesi. In Italia sono addirittura aumentate. Le ragioni possono essere ricercate nella mancanza di strategie indicizzate made in Italy e nella scarsa diffusione di clean share class (classi senza commissioni di distribuzione). Infatti, i mercati più virtuosi sono quelli dove queste tipologie sono più diffuse e le economie di scala sono state trasferite agli investitori finali sotto forma di minori costi.
Nulla è però irreversibile. Al contrario, i cambiamenti normativi e nelle preferenze degli investitori, così come l’ingresso di nuovi attori, possono dare un grande contributo alla riduzione dei costi, sia delle strategie attive sia passive. Morningstar dedica l’intera settimana ad approfondire i trend dei due approcci che caratterizzano l’industria mondiale del risparmio, alle loro caratteristiche e alle migliori opportunità secondo le valutazioni del team di analisti.
Lunedì 18 settembre
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