Gli investitori Usa e quelli del resto del mondo hanno le stesse esigenze? Di sicuro hanno quella di diversificare a livello geografico il portafoglio. “A prescindere da dove un investitore viva, è prudente muoversi al di là del proprio mercato domestico, anche riservando una piccola parte della propria allocazione a titoli esteri”, spiega Alex Bryan, direttore della ricerca di Morningstar in uno studio intitolato The case for international diversification. “Una diversificazione a livello globale può aiutare a ridurre la volatilità e, in alcuni casi, facilitare la caccia al rendimento. Ma permetterà sempre agli investitori di seguire le piazze finanziarie che corrono di più e di puntare sulle migliori aziende di ogni settore”.
Gli yankee...
Certo, per gli yankee avere un’esposizione globale è più semplice, visto che le società quotate americane rappresentano circa il 50% della capitalizzazione mondiale e molte delle aziende Usa generano i loro profitti all’estero. “Ma anche per loro restare confinati nei limiti del mercato domestico significa correre il rischio di avere minori opportunità di rendimento”, spiega Bryan. “Ad esempio: l’europea Inbev ha acquistato l’americana Anheuser Busch e l’ha tolta dai listini Usa (ora è quotata sull’Euronext). Ma la società che è nata dalla fusione ha ancora un’esposizione significativa al mercato americano. Se dovesse sottrarre quote di mercato alla concorrente Molson Coors, gli investitori locali perderebbero delle buone opportunità di guadagno”.
Secondo le analisi di Morningstar da gennaio 1970 a marzo 2017 le azioni del resto del mondo hanno fatto peggio di quelle americane e hanno avuto una maggiore volatilità. “Questa differenza nelle performance dimostra i benefici di investire globalmente”, dice l’analista. “A volte le stock Usa corrono più delle altre. In alcune occasioni vanno più piano. Ma finché questi due segmenti non saranno correlati questo aiuterà a diversificare il rischio”.
Correlazione tra azioni Usa e internazionali
...e gli altri
Per illustrare gli effetti della diversificazione per gli investitori non Usa l’analista prende ad esempio il Giappone, sede del secondo mercato mondiale per capitalizzazione ma che rappresenta solo l’8% dell’universo investibile a livello globale. “Gli operatori nipponici ne avrebbero chiaramente beneficiato da marzo 1986 a marzo 2017”, spiega Bryan. “In quel periodo l’indice Msci Japan ha dato un rendimento del 2,3% in yen. Molto meno di quello offerto dal paniere dei titoli non giapponesi (vedi tabella sotto). L’indice Msci World ex Japan è cresciuto di più (in yen) rispetto a quello dedicato al Sol levante e con una minore volatilità, nonostante il rischio valutario. Questo esempio illustra bene come una diversificazione globale possa aiutare quando il mercato domestico attraversa un periodo difficile”.
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