I primi sei mesi dell’anno sono stati davvero sfidanti per gli investitori europei e ancor più per quelli italiani, che hanno dovuto fare i conti anche con l’incertezza politica interna. Tra i principali indici azionari geografici sono pochi i segni positivi. Il migliore è il Morningstar US market, che però ha beneficiato dell’apprezzamento del dollaro rispetto alla moneta unica. I peggiori sono stati gli emergenti a causa soprattutto delle Borse sud-americane e dell’est del Vecchio continente.
Sui mercati è tornata a giocare un ruolo da protagonista la volatilità. Dopo un 2017 relativamente calmo, il 2018 si sta rivelando molto più agitato. L’indice Vix, che misura le aspettative di rischio degli operatori basandosi sui prezzi delle opzioni dell’S&P500 si è mantenuto tra il 10 e il 15% per quasi tutto l’anno scorso, livello storicamente basso. Da gennaio, il balzo è stato di circa il 60% a significare una crescita delle preoccupazioni degli investitori.
Fonte: Morningstar Direct. Dai in euro al 28 giugno 2018.
I motivi per non dormire sonni tranquilli sono numerosi: i timori di una guerra commerciale, l’impennata del prezzo del petrolio, l’apprezzamento del dollaro e le incertezze elettorali.
Commercio globale in difficoltà
Dopo i dazi sull’alluminio e l’acciaio, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, minaccia di porre delle tariffe anche all’importazione di auto. Intanto l’Europa e la Cina sono pronte alle contro-misure e alcune aziende americane a dislocare altrove la produzione per non essere penalizzate. I dati del Global trade alert rivelano che le operazioni sul commercio mondiale di merci sono in crescita: nel 2017 ce ne sono state nel mondo circa 900 di cui 659 “restrittive” e solo 230 nella direzione di una maggiore liberalizzazione. Nella prima parte del 2018 (al 2 luglio), se ne contano oltre 300, di cui quasi il 70% si possono definire dannose. Gli Usa sono stati tra i più attivi nelle iniziative contro gli altri partner del G20, il forum dei paesi più industrializzati.
Petrolio in impennata
Le quotazioni del petrolio sono balzate di circa il 40% in quattro mesi. Nel gennaio 2017, l’Opec (l’organizzazione dei paesi produttori) e la Russia avevano deciso un taglio delle forniture di 1,8 milioni di barili al giorno. Da allora, la forte domanda e le tensioni geopolitiche hanno favorito la ripresa dei prezzi, che hanno raggiunto i livelli più alti da circa tre anni e mezzo. Nelle scorse settimane, gli stati del Cartello hanno raggiungo un accordo per incrementare nuovamente l’offerta di circa un milione di barili al giorno. Non necessariamente la decisione porterà a una nuova discesa delle quotazioni, secondo gli esperti, a causa del persistere della crisi in Venezuela e della rottura dell’intesa sul nucleare iraniano da parte del presidente statunitense, Donald Trump. Tuttavia, per Joe Gemino, analista di Morningstar, il mercato sta sottovalutando le possibilità di un eccesso di scorte derivante dallo shale gas (gas di scisto) americano.
Dollaro più forte
Al rafforzamento del dollaro devono guardare con attenzione gli investitori in mercati emergenti, perché è uno dei motivi dell’interruzione dal rally che durava dal 2016. Hanno sofferto soprattutto le nazioni che dipendono di più dai capitali esteri come la Turchia, il Brasile e l’Argentina. “Di recente, in diversi paesi in via di sviluppo vi sono stati appelli che hanno invitato la banca centrale americana a prestare maggiore attenzione alle possibili ripercussioni globali della sua politica monetaria”, si legge in una nota di Raiffeisen Capital management. “Il presidente dell’istituto centrale indiano ha sottolineato che il crescente fabbisogno di finanziamento del governo Usa fa salire la domanda di dollari e che allo stesso tempo la Fed non è più un acquirente, ma addirittura un venditore netto di titoli governativi a stelle e strisce. Di conseguenza, un volume sempre più consistente di denaro confluirebbe negli Stati Uniti dal sistema finanziario globale, il che farebbe aumentare il cambio del dollaro e salire i costi di finanziamento per i paesi emergenti. Bisogna vedere, se la Federal Reserve seguirà questo ragionamento”.
Rischi geopolitici
I mercati emergenti, così come quelli sviluppati, devono fare i conti con i rischi geopolitici. Nel primo semestre si sono tenute importanti tornate elettorali in diversi paesi, tra cui Turchia, Colombia, Paraguay e Venezuela. In Messico si sono appena concluse e ad ottobre toccherà al Brasile, che proverà a voltare pagina dopo una legislatura travagliata e segnata dall’austerità.
In Turchia, la cautela è d’obbligo dopo la scontata riconferma del presidente uscente Recep Tayyip Erdogan. “Esiste una ragionevole probabilità che le tensioni politiche interne possano diminuire a seguito delle elezioni e che la politica economica possa almeno marginalmente migliorare”, dice Penny Foley, gestore del fondo TCW Emerging Markets Local Currency Income. “Nel frattempo, riteniamo che il mercato turco rimarrà volatile, motivo per cui continueremo ad essere cauti”.
In Messico è stato nominato un presidente di sinistra, Lopez Obrador, per la prima volta nell'era moderna. “La squadra economica del neo-eletto ha espresso opinioni generalmente rassicuranti per i mercati finanziari, mantenendo vivo l’interesse degli investitori stranieri”, dice David Robbins co-gestore diTCW Emerging Markets Local Currency Income. “Ad ogni modo, permane ancora incertezza sulla composizione del Congresso e sull’effettiva forza del nuovo capo di Stato, senza contare che il paese ha istituzioni solide e indipendenti (come la Banca centrale), che potrebbero porre alcuni limiti importanti al suo spazio di manovra”.
Tensioni nell’Eurozona
Dal canto suo, l’Eurozona deve fare i conti con le tensioni legate alla questione degli immigrati e al futuro dell’Unione. “La crescita potrebbe rivelarsi più fragile del previsto; dopo tutto ha rallentato molto nel primo trimestre e si sta riprendendo con difficoltà”, spiega Chris Iggo, responsabile obbligazionario di Axa IM. “Forse l’aspetto più importante è che ci sono debolezze strutturali nell’Unione monetaria. L’Italia, ad esempio, ha un governo che riflette un enorme consenso per gli euro-scettici”. La Banca centrale europea dovrà necessariamente tenere in considerazione questa situazione, dopo che ha annunciato nell’ultima riunione la riduzione degli acquisti di titoli obbligazionari e la fine di queste operazioni entro dicembre 2018. Il rischio è che l’Eurozona si trovi in difficoltà quando la Bce non avrà più cartucce a disposizione.
Strategie azionarie
Cosa devono aspettarsi gli investitori in fondi azionari? Secondo gli analisti di Morningstar, le quotazioni dei titoli sono vicine al loro valore equo, il cosiddetto fair value (l’universo copre 1.600 titoli a livello globale) e sono da preferire le aziende meno legate al ciclo economico, dato che ci troviamo nel nono anno di crescita consecutiva. Il settore più sottovalutato è quello dei consumi difensivi. Per coloro che vogliono mettersi al riparo da un possibile acuirsi della guerra commerciale, le società a medio piccola capitalizzazione possono rappresentare un’alternativa interessante, dato che sono più esposte al mercato domestico e meno a quello globale.
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