Valerio Baselli: Morningstar dedica un’intera settimana al cosiddetto low cost investing, l’investimento a basso costo, che non significa, ovviamente, selezionare gli strumenti finanziari di qualità inferiore, bensì costruire un portafoglio equilibrato e che rispetti i propri obiettivi finanziari, avendo però un occhio di riguardo alle commissioni.
I costi, infatti, sono l’unico parametro che l’investitore conosce in anticipo e che ha un impatto misurabile a priori sulle future performance. Le commissioni, quindi sono un ottimo punto di partenza nella selezione di un investimento. Secondo diverse ricerche di Morningstar, i numeri sono piuttosto chiari: le commissioni sono un fattore che riesce a predire con efficacia il successo dei fondi.
Non sorprende quindi vedere che a livello globale il grande cambiamento strutturale dell’industria del risparmio gestito riguarda proprio lo spostamento degli asset e dei flussi verso strumenti d’investimento a basso costo, come gli Etf e i fondi indicizzati, i quali hanno dimostrato negli ultimi anni di sovraperformare in media i propri concorrenti attivi in diverse asset class.
Gli analisti di Morningstar, nell’assegnare il nostro rating qualitativo, l’Analyst Rating, prendono in considerazione cinque pilastri: società di gestione, performance, processo d’investimento, team di gestione e, appunto, i costi. Quest’ultimo pilastro è analizzato con grande attenzione, proprio perché va ad incidere direttamente sul rendimento finale.
In particolare, vengono analizzate tutte le componenti dei costi in termini relativi, cioè rispetto ai concorrenti di categoria, non soltanto le spese correnti, ma anche l’impatto del turnover di portafoglio e delle eventuali performance fee, che in alcune categorie sono particolarmente rilevanti-, come nell’universo degli alternativi.
Morningstar assegna un giudizio positivo al pilastro costi a quei fondi che si posizionano ben al di sotto della mediana e che presentano un chiaro vantaggio di costo rispetto ai concorrenti (attivi o passivi che siano). Sapendo che Morningstar, ovviamente, confronta classi simili tra loro, di norma la cosiddetta clean share class, cioè quella che non prevede retrocessioni ai distributori.
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