I prodotti d’investimento a basso costo, Exchange traded product e fondi indicizzati non quotati, continuano a guadagnare fette di mercato. Certo, l’industria europea dei fondi (prodotti monetari esclusi) è ancora ampiamente dominata dai comparti gestiti attivamente con l’84% degli asset totali, ma la crescita della parte passiva negli ultimi dieci anni è sotto gli occhi di tutti, negli Usa (dove ormai sfiorano il 40% degli asset) come in Europa.
Secondo i dati di Morningstar, gli index fund europei (Etf inclusi) segnano un tasso di crescita organica a un anno del 10,4%, contro il 6,4% dei fondi attivi (il tasso di crescita organica esprime i flussi in rapporto agli asset all’inizio del periodo preso in considerazione; dati a fine maggio 2018).
Raccolta netta mensile dei fondi europei (attivi vs. passivi)
Dati in euro al 31 maggio 2018 (fondi domiciliati in Europa, monetari esclusi).
Fonte: Morningstar Direct.
Tasso di crescita organica mensile dei fondi europei (attivi vs. passivi)
Dati in euro al 31 maggio 2018 (fondi domiciliati in Europa, monetari esclusi).
Fonte: Morningstar Direct.
Scendendo un po’ più nel dettaglio, vediamo come a fine maggio contiamo 3.479 prodotti indicizzati domiciliati in Europa (di cui 2.689 sono Etp), i quali hanno raccolto oltre 124 miliardi di euro nel periodo tra giugno 2017 e maggio 2018. Notiamo anche che, all’interno dell’universo della gestione passiva gli Etp abbiano raccolto di più rispetto ai fondi aperti indicizzati, anche se quest’ultimi rappresentano un patrimonio gestito leggermente più importante.
Insomma, l’infatuazione degli investitori per gli Etf sembra continuare, una tendenza che si riflette anche nel numero di prodotti disponibili e nei nuovi lanci. Gli asset gestiti dai replicanti quotati sono in procinto di superare quelli dei fondi indicizzati tradizionali, segno che gli operatori apprezzano la flessibilità e la gamma di scelta offerta dagli Etf. Ci si può aspettare che questo trend in Europa continui anche in futuro.
Una storia azionaria
A livello di asset class, salta subito all’occhio la maggiore raccolta dei fondi passivi azionari rispetto ai propri concorrenti attivi, nonostante quest’ultimi siano molto più numerosi (8.747 contro 1.679 a fine maggio). Evidentemente, la comprovata difficoltà dei gestori azionari attivi a battere il proprio benchmark sul lungo periodo e i costi di gestione particolarmente bassi, ne fanno un’opzione convincente per un numero sempre maggiore di investitori.
Gemelli diversi
Il successo della gestione passiva non deve però farci dimenticare che i replicanti quotati (gli Etp) e i fondi indicizzati tradizionali non sono la stessa cosa. Lo scopo (replicare la performance di un indice) è comune, ma presentano caratteristiche e utilizzi differenti. La distinzione sta nel fatto che il primo è un fondo quotato sul mercato e scambiato in tempo reale come un titolo azionario, mentre il secondo non è sul listino e le quote possono essere comprate o vendute quando si conosce il Nav a fine seduta.
Questo ha delle importanti conseguenze soprattutto per quanto riguarda i costi. In media, gli Etp presentano delle commissioni più basse rispetto ai fondi indicizzati, ma i replicanti hanno a che fare con una serie di costi legati proprio alla loro quotazione sul mercato, soprattutto in termini di costi di transazione, che possono essere impattati dal turnover dell’indice replicato, e dallo spread denaro-lettera dell’Etp, che a sua volta dipende dalla liquidità del sottostante.
Non bisogna dimenticare infatti che gli Etp sono un’evoluzione dei fondi passivi, nati una ventina d’anni prima, ma che rispondono a un bisogno diverso. Mentre i primi comparti indicizzati nacquero come conseguenza ad alcuni studi che dimostravano che la maggior parte dei gestori di fondi non riuscivano a far meglio del mercato sul lungo periodo, gli Etp furono la risposta all’esigenza di molti investitori istituzionali di scambiare grosse quantità di azioni intra-day, soprattutto in momenti di forte volatilità.
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