A volte è meglio essere attivi

In fasi di forte volatilità, le strategie passive possono soffrire di più. E in alcuni segmenti di mercato può far comodo avere un gestore che va a caccia di opportunità.  

Marco Caprotti 18/07/2018 | 10:49
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Veramente non c’è partita per i fondi attivi contro i passivi nel campo degli investimenti low cost? “Le strategie passive stanno ottenendo il favore di un sempre maggior numero di investitori in tutto il mondo”, dice Thomas Lancereau, fund analyst di Morningstar. “Questo entusiasmo ha solide basi visti i meriti del segmento. Due su tutti sono i bassi costi e la facilità nel seguire l’investimento. Tuttavia ci sono dei casi in cui gli strumenti attivi possono dire la loro”. Ad esempio nei periodi di forte volatilità quando le strategie passive, costruite replicando gli indici e quindi più ingessate, tendono a soffrire maggiormente.

Se il mercato ha paura
E nello scenario attuale motivi che possono mandare i titoli in altalena ce ne sono parecchi: le tensioni geopolitiche, i dubbi legati a Brexit, le tariffe doganali volute dall’amministrazione Trump; il rialzo dei tassi di interesse. Che il momento faccia venire dei patemi è dimostrato anche dall’indice Vix (detto anche indice della paura, misura l’andamento della volatilità) che, da inizio anno, è salito più del 15% (in euro).

Indice Vix
vix

Dati in euro aggiornati al 17 luglio 2018
Fonte: Morningstar Direct

In momenti del genere può convenire avere un gestore che decide quali titoli vendere e acquistare per difendere il portafoglio. I fondi attivi possono anche essere una scelta valida per determinati mercati regionali come, ad esempio, la Russia dove è meglio non andare con strumenti indicizzati che tendono ad essere troppo legati all’andamento delle società energy e statali (per un approfondimento clicca qui).

Attivi nei settori
Un altro ambito nel quale i fondi attivi possono fare la differenza è quello dell’investimento settoriale. Da una ricerca fatta da Morningstar negli Stati Uniti emerge che i fondi attivi presenti nelle diverse categorie large cap hanno fatto peggio dei segmenti presi nel loro complesso (nei quali sono presenti anche fondi indice e Etf) in archi temporali di tre, cinque, 10 e 15 anni.

Il risultato, invece, è più sfumato quando si va a vedere le categorie settoriali. Fra i fondi specializzati nella tecnologia, ad esempio, quelli attivi hanno sottoperformato la categoria generale (di sette punti base), ma hanno fatto meglio (34pb) degli Etf. “I 10 fondi attivi più grandi che esistevano nel 2003 sono ancora vivi e otto di questi hanno fatto meglio della categoria nei seguenti 15 anni sia in termini di rendimento totale che di rendimento aggiustato per il rischio”, dice Lancereau.

Nel settore farmaceutico, il quadro è leggermente diverso: anche qui gli attivi hanno fatto peggio della categoria generale, ma sono andati meglio degli Etf. “Dei 10 fondi più grandi presenti 15 anni fa, uno è stato fuso e sei dei nove rimasti hanno fatto meglio della categoria in termini di total return. Solo cinque lo hanno fatto anche in termini risk adjusted” dice l’analista. Nel settore finanziario i fondi attivi hanno fatto meglio dei passivi nei 10 e nei 15 anni, ma non nei cinque anni.

La parola d’ordine per strategie di questo tipo, comunque, è prudenza. “I fondi settoriali (così come quelli geografici, soprattutto se specializzati su un singolo paese, Ndr) sono un investimento di nicchia che deve occupare una piccola porzione di un portafoglio ben diversificato”, spiega l’analista. “L’errore che si dovrebbe comunque evitare, a meno di avere un robusto appetito per il rischio, è quello di concentrarsi sui sotto-settori che difficilmente danno grandi soddisfazioni agli investitori nel lungo periodo”.

L'analisi è stata realizzata con la piattaforma per professionisti finanziari, Morningstar Direct. Clicca qui per saperne di più sulle sue funzionalità.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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