Il 15 settembre 2008 la banca Lehman Brothers chiedeva ufficialmente di avvalersi del chapter 11 del Bankruptcy Code, aprendo così la strada alla più grande crisi finanziaria globale dal 1929. Dopo aver affrontato i cambiamenti principali dell’ultimo decennio, almeno quelli di facciata, e le criticità ancora ben presenti (clicca qui per leggere Lehman Brothers e il Gattopardo) è a questo punto opportuno chiedersi quali lezioni abbiamo imparato, o avremmo dovuto apprendere, e come possiamo evitare di ripetere certi errori nel futuro. Perché l’unica cosa sicura è che questa non è stata la prima crisi finanziaria della storia e non sarà certo l’ultima.
Occhio al debito
“La crisi del 2008 ci ha senza dubbio insegnato una cosa: dobbiamo tenere sotto controllo il debito e l’utilizzo della leva finanziaria”, afferma Heather Brilliant, responsabile della ricerca azionaria e obbligazionaria di Morningstar. “All’epoca c’era poca gente che si preoccupava di andare a vedere le passività in bilancio delle aziende e delle banche. In più, molti investitori si sono, loro malgrado, accorti che la leva finanziaria può avere effetti devastanti, fino ad azzerrare completamente il valore della propria esposizione azionaria”.
L’orizzonte temporale è tutto
“Penso che molte persone si siano rese conto che nel breve periodo i loro portafogli erano molto più fragili di quanto pensassero, mentre si sono dimostrati più forti del previsto nel lungo periodo”, commenta Russ Kinnel, direttore della ricerca sui fondi di Morningstar. “Per conseguenza, chi ha avuto la freddezza di non farsi prendere dal panico e restare con la propria allocazione di attivi ne è uscito bene, addirittura guadagnandoci in alcuni casi”.
L’importanza della liquidità
Secondo Scott Burns, direttore della ricerca sugli Etp di Morningstar, la più grossa lezione che si sarebbe dovuto imparare riguarda la liquidità. “Gli investitori si sono accorti nel 2008 e nel 2009 che molti asset che avevano in portafoglio non erano così liquidi come pensavano e così si sono ritrovati incastrati in posizioni che continuavano a perdere senza riuscire a vendere”.
Noioso è bello
“Questa crisi ci ha insegnato ancora una volta che è molto difficile riuscire a prevedere quello che accadrà sui mercati”, spiega Don Phillips, presidente della ricerca di Morningstar. “La verità è che nel caso si fosse avuto prima della crisi un portafoglio ben diversificato, ribilanciato costantemente, alimentato attraverso un Pac (Piano accumulo di capitale) e una volta scoppiata la crisi non si fosse fatto nient’altro che continuare in questo modo come sempre, si sarebbero recuperate tutte le perdite in quattro anni dall’inizio della bolla”.
Alla larga dalle emozioni
Dello stesso avviso è John Rekenthaler, vice president della ricerca di Morningstar, che sottolinea il ruolo delle emozioni negli investimenti. “Purtroppo, la più grande lezione che Lehman Brothers ci ha insegnato è stata la lezione sbagliata, cioè la paura dei mercati. Da allora le persone hanno paura di investire in azioni, nonostante il rally degli ultimi tempi. Insomma, più si riesce ad allontanare la sfera emotiva quando si investe meglio è, e non si tratta solo della paura di un ribasso; l’avidità nei momenti di euforia causa altrettanti danni”.
Evitare i conflitti d’interesse
“Il filo conduttore del dibattito sulle cause della crisi finanziaria del 2008 è la presenza di dinamiche di conflitto di interessi a tutti i livelli della filiera dei prodotti finanziari, in particolare intorno al rapporto tra intermediari e investitori”, afferma Andrea Rocchetti, responsabile area consulenza di Moneyfarm. Il tema è di stringente attualità perché in Italia, negli ultimi 10 anni, nonostante la crisi, la ricchezza dei privati è cresciuta in termini assoluti dal 2008 di quasi 1.000 miliardi di euro, arrivando a toccare secondo Bankitalia la quota di 4.400 miliardi di euro. Nello stesso periodo l’opinione pubblica è rimasta scioccata dai moltissimi casi di risparmio tradito che hanno rischiato di compromettere la reputazione di un’intera filiera.
“In Italia, la scarsa diffusione dell’educazione finanziaria rende il conflitto d’interessi ancora più centrale – prosegue Rocchetti – suggerire obbligazioni subordinate senza valutare con attenzione il profilo di rischio e gli obiettivi di investimento del cliente, o spingere a sottoscrivere azioni o polizze assicurative in cambio di un mutuo sono esempi di pratiche di conflitto di interessi rese possibili da un paese in cui il 33% della popolazione non comprende i vantaggi della diversificazione (secondo la Relazione Annuale Consob, elaborazione dati Gfk Eurisko)”.
Sembra dunque evidente che per far fronte alla crescente domanda di consulenza finanziaria, in un mercato sempre più competitivo, l’unica direzione possibile sia quella dell’evoluzione verso un modello caratterizzato da maggiore trasparenza e dal pieno controllo del conflitto di interessi. In questa direzione il passo più significativo è sicuramente la direttiva MIFID nelle sue due versioni, che ha aperto la strada alla figura del consulente finanziario indipendente anche in Italia. “Quello a cui auspichiamo è che tutto questo si traduca in una diminuzione dei costi per il cliente finale e, soprattutto, in un rapporto sempre più allineato tra intermediario e risparmiatore: solo così l’industria del risparmio potrà dimostrarsi all’altezza del proprio compito storico in questa fase delicata”, conclude Andrea Rocchetti.
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