La finanziaria 2019 del governo italiano ha innervosito i mercati. La coalizione formata da Lega e Movimento 5 Stelle, arrivata al potere con la promessa di un programma di spesa pubblica extra, ha approvato una sostanziale revisione al rialzo dell’obiettivo di deficit del 2019 al 2,4% del Pil: tre volte più alto dello 0,8% concordato dai governi precedenti con la Commissione europea. Gli obiettivi di deficit per il 2020 e il 2021 sono del 2,1% e dell’1,9% rispettivamente.
Dire che le istituzioni Ue siano deluse sarebbe un understatement. I rendimenti dei bond italiani, in salita da quando il governo populista si è insediato, hanno fatto un altro balzo, alimentando la preoccupazione riguardo a un confronto aperto fra Roma e i partner del’Eurozona che potrebbe trasformarsi in un’altra crisi sistemica per la moneta unica.
Fino ad ora ci sono stati pochi segni di un contagio. Lo spread fra i Bund tedeschi e i BTp italiani sì è allargato, ma anche quello fra Spagna e Italia. Questo indica che gli attori dei mercati finanziari hanno concentrato le pressioni di vendita solo sul Belpaese, considerando il rischio crescente – inevitabile per qualcuno – che il rating sui governativi italiani venga abbassato. Al momento, l’Italia ha un giudizio di due gradi superiore a non investment grade da parte delle tre maggiori agenzie di rating (S&P, Moody’s e Fitch).
Lo spread del decennale italiano
L’Italia rappresenta una parte importante dei fondi passivi obbligazionari
L’assenza di un contagio su altri emittenti dell’Eurozona è una buona notizia, ma non dovrebbe spingere gli investitori ad avere un falso senso di sicurezza. I problemi dell’Italia sono molto importanti. Il paese ha il maggior mercato del debito governativo dell’area e il terzo più grande dopo Usa e Giappone. Questo significa che i fondi passivi esposti ai government hanno una buona fetta di Italia. Ad esempio: il peso negli Etf e fondi indice che seguono i panieri sui governativi dell’Eurozona (una componente core in molti portafogli denominati in euro) è mediamente del 22,5%, mentre è al 6% nei mandati passivi dedicati ai government bond globali.
Esposizione media all’Italia dei fondi passivi obbligazionari domiciliati in Europa
Il mio fondo passivo venderà bond italiani?
I possessori di fondi passivi con una forte esposizione ai titoli governativi italiani sono giustamente preoccupati per le implicazioni pratiche che un downgrade potrebbe avere sulle performance. Di solito, i fondi passivi sui bond sovrani dei paesi sviluppati seguono benchmark i cui emittenti hanno un rating di investment grade. Questo significa che un abbassamento del giudizio dell’Italia al livello di junk licostringerebbe a trasformarsi in un venditore in uno dei momenti peggiori. Visto il peso del Belpaese in questo tipo di indici è facile immaginare una situazione in cui le pressioni al ribasso sui prezzi vengano aumentate dalle vendite dei fondi passivi e di quelli attivi che non possono detenere bond che non siano investment grade. Ed è facile pensare al costo che avebbe per gli investitori.
Inoltre, un downgrade al livello di junk vorrebbe anche dire che la Banca centrale europea non potrebbe venire in soccorso. In questo modo, tra l’altro, si alimenterebbe la retorica anti-euro del governo italiano. In una situazione del genere il concetto di Italexit (la possibilità che il paese esca dall’euro) sarebbe qualcosa di più di una vuota minaccia.
Come detto, l’Italia è due gradini sopra il livello di non investment grade e raramente le agenzie di rating abbassano i giudizi di più di notch alla volta. Tra l’altro, il downgrade da parte di una sola agenzia non porterebbe all’espulsione del paese dagli indici dedicati ai governativi. Per lo meno non dai più popolari fra quelli che i prodotti passivi replicano (Bloomberg Barclays, Markit iBoxx e Ftse Mts). Per questi panieri il criterio per essere considerati investment grade è definito come il giudizio medio delle tre agenzie maggiori. Questo significa che almeno due società di rating dovrebbero abbassare il giudizio a junk per costringere i fondi a rivedere il portafoglio.
Se la possibilità di un abbassamento a un gradino sopra non investment grade da almeno una delle agenzie sembra possibile, le chanche che lo facciano in due o più sembrano remote in questo momento. Nonostante tutti i suoi difetti – e ce ne sono parecchi – la capacità dell’Italia di generare un avanzo primario rimane un fattore chiave in suo favore. Tale parametro è dato dalla differenza fra le tasse incamerate e la spesa pubblica al netto del pagamento degli interessi sul debito. Questa è una misura chiave per valutare la sostenibilità del debito pubblico. Come mostrato nel grafico in basso, anche negli anni di introduzione dell’euro e nei periodi peggiori della crisi economica globale (quando la crescita non c’è stata) l’avanzo primario dei conti pubblici è stato in surplus. Anzi, è stato il più stabile dei grandi paesi dell’Eurozona. Il debito pubblico italiano è alto, ma sarebbe stato più alto se i governi avessero dovuto ricorrere a prestiti per pagare gli interessi sui bond. Certo, non ci sono dubbi che l’Italia abbia bisogno di crescere, ma non bisogna dimenticare che arrivare alla decisione di abbassare un rating è un processo più complesso che guardare ai numeri del Pil.
Il sentiment negativo può toccare altri asset italiani. Finanziari più a rischio
Anche se il rischio che l’Italia venga portata al livello di junk sembra remoto, le perdite già registrate e quelle che potranno arrivare non possono essere sottovalutate. Soprattutto alla luce del peso che il paese ha negli indici. Un continuo sentiment negativo sui bond governativi italiani può facilmente passare ad altri asset, sia obbligazionari che azionari. Di solito le aziende pagano un premio calcolato sui bond governativi per avere prestiti dal mercato e, quindi, il peggioramento della situazione finanziaria del paese (yield più alti per i corporate) peserebbe sulle valutazioni delle azioni. Il peso medio dell’equity italiano nei fondi passivi azionari Eurozona large cap è vicino al 6% ma sale al 12% nel caso di strategie che si concentrano sui dividendi. Le più a rischio sono le banche italiane, visto che hanno in cassa la quota maggiore di debito governativo. Nei mandati passivi dedicati alle mid e small cap dell’Eurozona, l’Italia rappresenta, mediamente e rispettivamente, l’8,7 e il 12,2% (vedi tabella sotto).
In questa fase, gli investitori devono sicuramente tenere aperti gli occhi sull’Italia. E’ un’economia importante con un grande peso negli indici obbligazionari e azionari. Possiamo anche esserci abituati a periodi di volatilità dei mercati finanziari causati da dichiarazioni burrascose dei politici. Tuttavia è importante non perdere di vista il quadro complessivo per valutare realisticamente la situazione, soprattutto in relazione alla questione fondamentale della sua appartenza all’euro.
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