Scombussolati dalle montagne russe del mercato, gli investitori subiscono più che mai il fascino della cedola. E gli Exchange traded fund, strumenti sempre più presenti nei portafogli, si adeguano. Su 1.288 replicanti disponibili su Borsa Italiana, ce ne sono 335 che staccano una cedola periodica, spaziando in 42 macro-categorie Morningstar. Di questi, 195 sono azionari e 136 obbligazionari, mentre i restanti quattro si dividono in: due monetari, un bilanciato e un alternativo. A livello di macro-categorie, la più rappresentata è quella dei fondi obbligazionari in dollari con 53 Etf, seguita dagli azionari Europa a grande capitalizzazione con 52 replicanti, dagli obbligazionari euro con 50 prodotti e dagli azionari Usa a grande capitalizzazione con 33 Etf.
L’incasso ricorrente di una somma, seppur contenuta, è sovente visto dagli investitori come un modo semplice e automatico per fare piccole prese di beneficio sull’investimento effettuato. Anche dal punto di vista psicologico ha una sua importanza. Per i fondi passivi quotati la politica di distribuzione o meno della cedola viene decisa dall’emittente che la indica nel prospetto informativo. I dividendi vengono pagati almeno una volta l’anno, con cadenza che diventa semestrale o anche trimestrale soprattutto per gli Etf obbligazionari.
Cash drag e fisco, l’altra faccia della medaglia
Ma attenzione, se da un lato è piacevole mettersi in tasca una cedola, dall’altro occorre essere consapevoli che questa pratica potrebbe avere un effetto negativo sul tracking error del replicante. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli Etf che pagano i dividendi, non reinvestendo i proventi dei titoli nel fondo stesso, mantengono tali guadagni sotto forma di liquidità fino alla data di stacco prevista. Questa pratica (chiamata cash drag) può potenzialmente creare una differenza negativa tra i rendimenti dell’Etf e del benchmark, durante le fasi di mercato rialzista, visto che i dividendi non vengono reinvestiti nel fondo. Vale però anche il contrario.
Da non sottovalutare poi il diverso trattamento fiscale riservato agli Etf a distribuzione di cedole e quelli a reinvestimento delle stesse. La distribuzione del dividendo comporta infatti una doppia tassazione dell’investimento, una sull’apprezzamento dello strumento e un’altra sulla distribuzione dei dividendi senza avere la possibilità di compensazione tra le due. Tutto questo si ritorce contro l’investitore in una situazione in cui l’Etf è in minusvalenza ma stacca lo stesso delle cedole. Ad esempio, nel caso di vendita di un fondo in perdita, non si può compensare la minusvalenza con i guadagni percepiti sotto forma di dividendi.
L’Etf a reinvestimento permette, al contrario, di accumulare e reimpiegare i dividendi nel tempo con un’unica tassazione fiscale al momento della sua vendita. Quindi consente di posticipare il pagamento dell’imposta fiscale, reinvestendo anche questa specie di “credito d’imposta”.
Detto questo, l’aspetto fiscale è solo uno degli elementi da prendere in considerazione nel momento di acquistare uno strumento finanziario, assieme all’asset allocation, alla liquidità, alle commissioni di gestione e al profilo di rischio. Inoltre, ci possono essere casi in cui si ha effettivo bisogno di incassare una cedola periodica per far fronte a determinare uscite. In questo caso, l’inefficienza fiscale è il prezzo da pagare.
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